La corruzione nelle carceri vanifica la lotta al terrorismo islamico
di Mathias Hariyadi
Secondo un rapporto dell’International Crisis Group, la dilagante corruzione tra il personale delle prigioni indonesiane permette ai militanti islamici della JI di continuare a fare proseliti e gestire i loro traffici anche da dietro le sbarre. Appello al governo per un’ampia riforma del sistema carcerario.
Jakarta (AsiaNews) – La dilagante corruzione che regna nelle carceri indonesiane vanifica i risultati del governo nella lotta al terrorismo islamico. Secondo un recente rapporto del gruppo di studio International Crisis Group (ICG), i detenuti appartenenti alla Jemaah Islamiah (JI) - formazione operativa nel sud-est asiatico e presumibilmente legata ad al Qaeda – continuano a gestire operazioni terroristiche, a fomentare l’estremismo e a fare proseliti anche da dietro le sbarre. L’ICG paragona, ad esempio, la prigione Cipinang, la più grande di Jakarta est, ad un “hotel”; dove con una “mazzetta” agli agenti, si può disporre di tutti i comfort necessari. Una sorta di “piccole libertà provvisorie”.
“Il fenomeno – spiega ad AsiaNews Sidney Jones, direttrice dell’ICG – era già noto nel campo del narcotraffico: è stato scoperto che numerosi boss della droga riescono a mantenere le fila dei loro interessi anche dalle celle di massima sicurezza. Questo è possibile perché in Indonesia vige un sistema per cui con soldi e potere si può acquistare ogni cosa”.
Tutto parte dalla corruzione tra il personale amministrativo delle carceri, che “in cambio di denaro concede alcuni privilegi a determinati prigionieri”, denuncia la Jones. Questo, si sottolinea nel rapporto, compromette i cosiddetti programmi di “de-radicalizzazione” tra le cellule terroristiche, portati avanti con discreto successo dal governo. La polizia, cioè, utilizza ex detenuti come “agenti di cambio”, persone che tornate nei rispettivi gruppi ne persuadono i membri ad assumere posizioni più moderate. Ad esempio tra molti detenuti ex terroristi nel Paese si è diffusa la convinzione che far esplodere bombe contro obiettivi civili, come nel caso di Bali, sia ingiusto e non c’entri nulla con il jihad. Molti si dimostrano disponibili a collaborare con la polizia, anche perché le autorità garantiscono in cambio per le loro famiglie un aiuto economico.
Per i terroristi detenuti, inoltre, secondini e responsabili delle carceri corrotti rappresentano la conferma che i funzionari governativi sono anti-islamici e quindi vanno combattuti. La Jones parla di fenomeno “preoccupante” e nel suo studio l’ICG invita Jakarta a potenziare i corsi di preparazione del personale carcerario e a stanziare fondi per il controllo della corruzione, In particolare nelle prigioni della capitale, di Surabaya, Medan, Bandung, Semarang, Bali e Makassar. L’International Crisis Group, infine, invita il governo ad un’ampia riforma del sistema carcerario senza la quale la lotta al fondamentalismo nel Paese rischia di incassare successi solo parziali.
In Indonesia al momento sono circa 170 i detenuti per legami con il terrorismo islamico, di questi meno della metà sono membri della JI.
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