La Turchia fa gola alle industrie italiane
Il Paese, ponte tra Europa, Medio Oriente e Stati dell'Asia centrale incontra difficoltà ad entrare nela Ue, ma la sua economia è già integrata con quelle occidentali.
Ankara (AsiaNews) - Mentre a Bruxelles, pur avendo dato l'ok all'inizio delle trattative, si tentenna sull'entrata della Turchia nell'Unione europea, le industrie italiane già da tempo strizzano l'occhio a questo gigantesco potenziale economico e portano avanti i loro affari.
I politici italiani non sono da meno. Il 17 novembre il primo ministro Berlusconi ha partecipano sul mar Nero all'inaugurazione del Blue Stream, il gasdotto proveniente dalla Russia e sponsorizzato dall'Eni. Ieri lo stesso presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi, accompagnato dal ministro degli Esteri Gianfranco Fini, ha cominciato ad Ankara la sua visita di Stato in Turchia.
E' stata l'occasione per articoli della stampa turca sulle relazioni italo-turche. Hurriyet, sotto un titolo "Italia" a caratteri cubitali, pubblica in prima pagina una grande fotografia di Ciampi ed un articolo scritto dallo stesso presidente italiano, il Milliyet scrive di "Assedio degli uomini d'affari italiani in Turchia" e sottolinea il fatto che circa 600 imprenditori italiani si incontreranno nei prossimi giorni con circa 1200 aziende turche e che l'Istituto italiano per il Commercio estero ha organizzato per essi circa 2900 appuntamenti bilaterali.
La Turchia, del resto, da tempo si è rivelata ottima meta d'affari per le imprese italiane. Situata in una posizione privilegiata, al centro del nodo strategico che salda l'Europa al Medio Oriente, nell'ultimo decennio ha avuto un processo di evoluzione tale che ha consentito il passaggio da un'economia essenzialmente agricola artigianale, ad una economia industrializzata, integrandosi sempre di più con i Paesi della CEE. Non a caso attualmente lo Stato turco risulta essere il principale partner commerciale dell'Unione Europea. E l'Italia, preceduta solo dalla Germania, risulta essere partner privilegiato, al secondo posto nell'esportazione verso la Turchia e quarto Paese suo cliente.
Il segreto di questa "intesa" economica è nel fatto che l'Italia e la Turchia presentano una struttura economia simile e nello stesso tempo complementare. In entrambe i Paesi c'è una forte presenza di piccole e medie imprese e i settori di primario interesse sono i medesimi. Il partner italiano offre capitali e tecnologia nel settore tessile e nell'abbigliamento, automobilistico e agricolo, nella pelletteria e nel mobilificio, mentre le imprese turche sono forti nella manodopera specializzata locale e in una capillare conoscenza dei mercati, soprattutto di quelli limitrofi dell'Asia Centrale (repubbliche turcofone, Afganistan e Iraq).
La prima a tentare con successo il gemellaggio economico fu la Fiat, quando nel 1968 iniziò la produzione dei suoi autoveicoli attraverso le fabbriche della Tofas, fino a diventare attualmente la prima esportatrice turca di automobili (soprattutto con i modelli Doblo e Palio, la cui produzione è stata trasferita in Turchia dal Brasile).
Ora sono circa 7.180 le aziende italiane già impegnate in Turchia e provengono soprattutto da Lombardia e Veneto. Ma tra le regioni con il maggior numero di aziende che scelgono questo Paese mediterraneo rispetto al resto del mondo, in testa c'è l'Emilia Romagna (9,3% del numero totale di aziende emiliane che commerciano con l'estero).
Del resto, degli otto mulini che la Barilla possiede (di cui cinque in Italia) uno è dal 1994 a Bolu, nel nord della Turchia e non solo offre un'enorme quantità di semola di grano duro occorrente a tutto il Gruppo, ma anche la trasforma grazie agli stabilimenti adiacenti - tra cui uno dei sette pastifici Barilla nel mondo - e produce e confeziona pasta molto apprezzata dai turchi stessi sotto il marchio Filiz, industria turca con cui è gemellata.
Mentre la Lombardia ha puntato l'occhio soprattutto nella zona dell'Egeo (con centro a Smirne), per la sua posizione geografica ideale, con infrastrutture e trasporti efficienti e con uno sbocco strategico sul Mediterraneo, il Veneto ha mire ad Est, nella regione di Gaziantep, crocevia obbligato tra il Medio Oriente, il Caucaso e l'Asia Centrale, oltre ad essere al centro della Regione del Gap (enorme progetto idrico dell'Anatolia del Sud-Est, che comprende il Tigri e l'Eufrate) e della "zona franca" che offre esenzioni fiscali, possibilità di magazzini e terreni a basso prezzo, procedure burocratiche ridotte al minimo ed importazioni in esenzione doganale. Nel settore della trasformazione agro-alimentare, l'Emilia Romagna dimostra sempre più interesse verso la Cilicia, la zona agricola più produttiva dell'Anatolia, anch'essa avvantaggiata dall'essere "zona franca".
La popolazione turca di ogni ceto sociale è fiduciosa verso questa ricerca di manodopera turca e di questi investimenti italiani, nella speranza che aumentino così i posti di lavoro e le possibilità di elevare il proprio standard di vita.
E così, mentre sui canali tv e sui giornali turchi aumenta sempre più la pubblicità di prodotti italiani, fino a pochi anni fa impensabili, la gente comune, che non si può permettere il lusso di marche prestigiose, si accontenta di comprare al bazar abbigliamento, calzature, cosmetici, mobilia e suppellettili per casa e uffici "made in Italy" (vero o falso che sia), perché sicuramente sono convinti - garanzia di buona qualità. (M Z)
15/04/2014