La Pasqua nella Libia vittima della guerra. Mons. Martinelli: riaprite il dialogo con il regime
Secondo mons. Martinelli, a circa un mese dall’inizio dell’operazione Odyssey Dawn, la popolazione patisce non solo i bombardamenti, ma anche il clima di divisione che si è instaurato all’interno del popolo libico. “È un momento di grande sofferenza – spiega – c’è un silenzio assoluto nelle città. Molti villaggi sono ormai vuoti. A Tripoli bisogna fare la fila per prendere la benzina, ma sono ancora disponibili i generi di prima necessità. Molta gente scappa. Hanno paura, per la famiglia, per i bambini, per se stessi”.
Il prelato sottolinea che la situazione è molto incerta e anche la Chiesa è stata costretta a far evacuare il proprio personale dalle città più colpite. In questi giorni, sono ritornate a Tripoli le suore che operano come infermiere nell’ospedale di Yefrem.
Nel dolore provocato dalla guerra, la piccola comunità cristiana, composta soprattutto da lavoratori migranti filippini e africani sub-sahariani, è ancora molto attiva e la sua presenza è un sostegno spirituale anche per i musulmani libici. “Venerdì scorso – racconta mons. Martinelli – si sono fermate in fondo alla chiesa alcune donne musulmane, che chiedevano a noi cristiani di pregare e sollecitare l’intervento del Papa per fermare i bombardamenti e trovare una via per riconciliare questa realtà umana”.
Mons. Martinelli spera ancora nella riapertura di un dialogo fra il regime di Gheddafi, forze Nato e ribelli. “Solo la diplomazia può risolvere questa situazione – afferma – la guerra non può indurre l’uomo a piegarsi. Anzi bisogna tentare tutte le forme, soprattutto quella del dialogo con il regime”. Secondo il prelato la comunità internazionale e l’Italia sbagliano a isolare completamente Gheddafi, dialogando solo con i ribelli, perché non si fa che aumentare la divisione e l’odio. “Non considerare la possibilità di un dialogo con il governo libico – sottolinea – non è una cosa positiva, per l’amicizia e il futuro della Libia”. (S.C.)