La Costituzione russa garante della monarchia universale dello zar Putin
Il 12 dicembre festeggiato il trentennale della Costituzione post-sovietica, approvata da Eltsin. Carta ricondotta da Putin al totalitarismo staliniano, pur senza imporne una nuova a suo nome. Anche nella grande revisione del 2020 (oltre 200 modifiche) resta la farsa della “Russia democratica”. Con il voto del 17 marzo il presidente intende inaugurare “l’anno zero della nuova era”.
Il 12 dicembre in Russia è stato festeggiato il trentennale della Costituzione post-sovietica, approvata da Boris Eltsin nel momento del grande entusiasmo per le riforme democratiche e liberali dei primi anni dopo la fine del regime comunista. In realtà, già in quell’anno le aperture al nuovo sistema economico e politico avevano cominciato ad andare in crisi con la rivolta dei parlamentari, che costrinse Eltsin a bombardare la Casa Bianca moscovita per difendere la “nuova democrazia”; ma la legge fondamentale divenne un simbolo di cambiamento non solo formale, per la costruzione di un futuro che la Russia non aveva mai veramente conosciuto.
Il primo contatto con il “potere del popolo” per i russi era avvenuto quando lo zar “occidentalista” Pietro il Grande: poco più che ventenne, nel 1698 egli volle girare l’Europa con la “grande ambasciata” per visitare i cantieri navali di Danimarca, Olanda e Gran Bretagna essendo attratto dalla costruzione delle navi. A Londra fu accolto calorosamente dal re Guglielmo III d’Orange, primo monarca al mondo a cedere parte dei poteri alla Camera dei Lord, alla cui sessione assistette il giovane zar, spiando da una finestrella. Alla fine, Pietro commentò eccitato che “è molto affascinante quando il popolo dice la verità al suo re, ma tanto poi è lui che decide”. Sulla via del ritorno a Mosca, Pietro volle anche incontrare il filosofo Gottfried Leibnitz, che gli spiegò che doveva costituire il Senato e le altre istituzioni di un vero Stato europeo.
Pietro il Grande portò con sé in patria molte novità, a partire fumo e vodka che gli meritarono la qualifica di “Anticristo” da parte della Chiesa ortodossa, oltre a tecniche navali e architettoniche che volle concentrare nella nuova capitale San Pietroburgo. La “Città di San Pietro”, in suo onore e soprattutto “nuova Roma”, edificata in pochi anni e inaugurata nel 1703, con canali e palazzi simili a Venezia e Copenaghen. Nella “capitale del nord” volle esaltare i simboli della nuova nobiltà russa europeizzata e soprattutto il magnifico palazzo del Senato, in cui sedevano gli oberprokurory, i ministri russi così chiamati secondo gli appunti di Leibnitz. Essi non contavano nulla, tranne il “ministro del Culto” che controllava la Chiesa al posto del patriarca soppresso, l’unico che conservò fino alla rivoluzione il titolo di oberprokuror, detto anche oko gosudarevo, “l’occhio del sovrano”.
L’illusione delle istituzioni democratiche è rimasta tale per i due secoli dell’impero pietroburghese, con un tentativo di istituire un Parlamento, la Duma (“pensamento”) di Stato solo agli inizi del Novecento, pochi anni prima della rivoluzione, senza comunque ottenere risultati credibili. Anche nei mesi che intercorsero tra le due rivoluzioni di febbraio e di ottobre del 1917, dopo l’abdicazione dello zar, i politici russi non riuscirono a mettersi d’accordo per riunire l’assemblea costituente, e iniziare una nuova era democratica. Lo fece Vladimir Lenin agli inizi del 1918, ma siccome l’assemblea vide la sua netta sconfitta nelle votazioni, decise di scioglierla e passare direttamente alla “dittatura del proletariato”, di fatto del partito e dei suoi capi, come aveva capito meglio di tutti il segretario Iosif Stalin.
La Costituzione pseudo-liberale di Eltsin è stata quindi ricondotta da Putin al totalitarismo staliniano, avendo peraltro l’accortezza di non imporne una nuova a suo nome come facevano i leader sovietici, ma di procedere con successive “modifiche e correzioni”. Anche nella grande revisione del 2020, con oltre 200 modifiche, si è voluto rimanere nella farsa della “Russia democratica”, anzi l’unico Paese veramente democratico del mondo, come lo stesso Putin ha ribadito in questi giorni nella conferenza stampa auto-celebrativa, prima dall’inizio della guerra in Ucraina. In verità il testo revisionato nello sfortunato anno del Covid, che aveva offuscato la glorificazione del nuovo zar, è la magna charta dell’ideologia putiniana, e viene chiamata la “Costituzione dell’azzeramento”, in quanto si associa alla ripartenza da zero dei mandati presidenziali ed è premessa del tentativo di consacrazione di Putin alle elezioni del 17 marzo.
Se non scoppierà una nuova epidemia oscura, che comunque i russi vedrebbero come complotto del demonio occidentale, e gli ucro-nazisti non riusciranno a riconquistare la Crimea e il Donbass, come ha assicurato Putin al pubblico adorante con un beffardo sorriso, allora il trentennale post-sovietico verrà finalmente archiviato, proclamando l’anno zero della nuova era. Agli alunni delle scuole russe viene quindi in questi giorni imposto di imparare a memoria gli articoli della Costituzione, il vangelo della superiorità e della vittoria della Russia su ogni nemico, da ripetere durante le “conversazioni sulle cose importanti”, le ore di religione del credo putiniano.
La legge di Mosè-Putin garantisce la libertà di parola, anche se per conoscere qualcosa di diverso dalla propaganda di Stato bisogna saper usare sofisticati sistemi Vpn. Anche la libertà di movimento è funzionale alla missione comune, quindi se una persona serve per fare la guerra, gli si ritira il passaporto per evitare che fugga. La libertà religiosa è garantita al massimo livello, cioè se si crede nella Ortodossia di Stato, e si disgrega scendendo sui gradini delle religioni “meno tradizionali” per disperdersi totalmente nelle inaccettabili “sette distruttive”, come i poveri Testimoni di Geova, di cui oltre 500 languono in galera come “estremisti”.
La carta propone quindi una “democrazia etica”, un nuovo modello di cui la Russia è portatrice per il bene dell’umanità, che assicura la superiorità dei “valori tradizionali” - Dio, Patria, Famiglia e Guerra Santa - contro tutte le degradazioni morali e le devianze sessuali che l’Occidente voleva inoculare anche nella carne dei russi. Il contagio era arrivato fino all’Ucraina, ma come ha ribadito il supremo garante della costituzione, presto la terra del Battesimo di Kiev verrà definitivamente de-nazificata e riconsacrata. Del resto una delle modifiche approvate nel 2020 stabilisce che il presidente della Russia debba essere residente stabilmente in Russia da almeno 25 anni, mentre quando fu eletto nel 2000 Putin era tornato dalla Ddr solo da una decina d’anni, ma quella Germania sovietica non era un Paese straniero, era una parte del Mondo Russo liberata dai vincitori sul nazismo, e oggi attende la nuova redenzione.
Un difetto già presente nella costituzione eltsiniana del 1993 era l’ambiguità nella definizione dei mandati presidenziali, che non si capiva se dovessero limitarsi a due in assoluto, o solo ai due consecutivi. Così alla fine del secondo mandato, nel 2008, Putin decise di provare la “monarchia dualista”, mettendo sul trono il delfino Dmitrij Medvedev e occupando la poltrona di premier, poi restituita al delfino stesso per i due mandati successivi dal 2012 al 2018, almeno finché il fido “Dimon” non ha ceduto all’ebbrezza del potere fino a sostituirlo con altri figuranti. La modifica “azzerante” del 2020 ha messo fine ai problemi della successione al trono, quelli che impedirono a Pietro il Grande di garantire lo sviluppo dell’impero settecentesco, che s’impantanò nei “regni degli amanti” delle zarine. Almeno fino all’arrivo di Caterina la Grande, tedesca profeticamente “de-nazificata” e russificata più dei russi stessi, che celebrò a fine ‘700 la vera grandezza della Russia invadendo la Crimea e inghiottendo Polonia, Bielorussia e Ucraina, spartite con Austria e Prussia.
Ora non serve più trovare eredi e discendenti: la legge fondamentale stabilisce la continuità del potere “senza separazione né confusione”, come recita il dogma di Calcedonia sull’unione delle due nature di Cristo, nel Concilio (Sobor in russo) in cui la Chiesa universale si attribuì la definizione della “Ortodossia”. Non ci sarà altro che Putin, qualunque sia l’incarnazione e rivelazione, confortata dall’esegesi autentica del patriarcato ortodosso, immune da ogni contagio esterno.
Già nel 1993 l’approvazione della Costituzione non avvenne con un “referendum”, ma fu chiamata “votazione di tutto il popolo”, vsenarodnoe golosovanie, anche se in realtà a votare andò circa il 30%. Ugualmente le prossime presidenziali di marzo non saranno vere elezioni, se non per dimostrare al mondo la superiorità “democratica” della Russia anche e soprattutto in tempi di guerra. L’Ucraina ha infatti deciso di rimandare il voto a tempi più pacifici, e dalle elezioni in Europa e in America si prevedono buone notizie per i russi, dando ad ogni popolo della terra il Putin che attende, o almeno quello che si merita.
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