La Cina vuole legalizzare i “rapimenti” dei dissidenti
Allo studio un emendamento che consente di arrestare fino a 6 mesi i “sospetti” in luoghi segreti senza avvisare nessuno. Come già avviene. Esperti: c’è anche il rischio che questo favorisca torture. Intanto il popolare sito blog Weibo “oscura” chi diffonde notizie “false”.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La polizia potrà “sequestrare” e detenere per mesi i “sospettati” per fatti che riguardano la sicurezza nazionale, il terrorismo o la corruzione. Autorevoli media cinesi denunciano che sono all’esame dell’Assemblea Nazionale del Popolo modifiche alla legge sulla “sorveglianza domiciliare” che tolgono ai cittadini anche la garanzia di avvertire l’avvocato o i familiari.
La polizia potrà detenere i sospetti anche in luoghi segreti fino a 6 mesi e impedire loro ogni contatto con altre persone, se questo può “danneggiare le indagini”, seppure con l’autorizzazione del pubblico ministero o degli organi superiori di pubblica sicurezza.
Nei primi mesi del 2011 la Cina è stata molto criticata per le frequenti “sparizioni” di attivisti per i diritti umani e dissidenti, portati via dalla polizia senza accuse formali e senza avvisare nessuno, trattenuti anche per mesi in segreto. Come il noto artista Ai Weiwei, rilasciato in giugno dopo 3 tre mesi di detenzione in un luogo segreto, poi accusato di evasione fiscale, un reato che non riguarda la “sicurezza nazionale”.
Altri, come l’avvocato Gao Zhisheng, sono scomparsi anche da anni. La polizia non dà notizie, nemmeno ai familiari, ma si limita a dire che Gao “sta bene”.
La legge cinese già permette la detenzione domiciliare fino a 6 mesi, prima di ricevere l’accusa formale, ma presso la propria abitazione. L’emendamento consentirebbe di portare il “sospettato” in un luogo segreto, anche diverso da un carcere o una stazione di polizia.
Nicholas Bequelin di Human Rigths Watch osserva che questa legge “sarebbe una legalizzazione delle sparizioni, con la possibilità di trattenere le persone per mesi senza obbligo di dare notizie”. “Se puoi tenere qualcuno in un luogo diverso da un regolare luogo di detenzione – prosegue – senza dare notizie, aumenta molto il rischio di torture”, sia fisiche che psichiche.
Intanto il 26 agosto Sina.com, che gestisce il sinaweibo, il sito web più famoso e utilizzato in Cina equivalente a Twitter, ha avvisato i suoi 200 milioni di utenti che chi ha diffuso “notizie infondate” avrà l’account sospeso per un mese. La sospensione è stata subito applicata a due blogger che avevano denunciato fatti di corruzione, forse infondati.
Immediate e vibranti le proteste degli utenti del sito, che lo ritengono un modo di aumentare la censura del governo, che vorrebbe impedire la diffusione di qualsiasi notizia sgradita ma non ci riesce proprio per la rapidità della diffusione via internet tramite simili siti.
Qualcuno si chiede “come può Weibo sapere cosa è vero o no?”
Altri temono che questo sia solo un primo passo. Nei giorni scorsi il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista, ha pubblicato un articolo di un’intera pagina sulla “missione politica” di controllare i microblog e le altre nuove forme di media. Pechino da anni ha vietato persino la rivelazione di disastri, se non comunicati dai media ufficiali, e anche il disastro ferroviario del 23 luglio a Wenzhou si è diffuso soprattutto perché la notizia è subito apparsa sui microblog. Sempre più persone mettono sui blog notizie di ingiustizie, sperando che questo costringa le autorità a compiere indagini altrimenti negate. Nel 2009 le autorità hanno bloccato senza preavviso Twitter e Facebook, che sono tuttora bloccati.
Gli operatori dell’altro grande microblog cinese, Tencent, hanno ricevuto il 19 luglio la visita di Zhou Yongkang, membro del Politburo che cura la sicurezza pubblica, che li ha incitati a “una maggiore autodisciplina” per assicurarsi che internet promuova l’armonia sociale.
La polizia potrà detenere i sospetti anche in luoghi segreti fino a 6 mesi e impedire loro ogni contatto con altre persone, se questo può “danneggiare le indagini”, seppure con l’autorizzazione del pubblico ministero o degli organi superiori di pubblica sicurezza.
Nei primi mesi del 2011 la Cina è stata molto criticata per le frequenti “sparizioni” di attivisti per i diritti umani e dissidenti, portati via dalla polizia senza accuse formali e senza avvisare nessuno, trattenuti anche per mesi in segreto. Come il noto artista Ai Weiwei, rilasciato in giugno dopo 3 tre mesi di detenzione in un luogo segreto, poi accusato di evasione fiscale, un reato che non riguarda la “sicurezza nazionale”.
Altri, come l’avvocato Gao Zhisheng, sono scomparsi anche da anni. La polizia non dà notizie, nemmeno ai familiari, ma si limita a dire che Gao “sta bene”.
La legge cinese già permette la detenzione domiciliare fino a 6 mesi, prima di ricevere l’accusa formale, ma presso la propria abitazione. L’emendamento consentirebbe di portare il “sospettato” in un luogo segreto, anche diverso da un carcere o una stazione di polizia.
Nicholas Bequelin di Human Rigths Watch osserva che questa legge “sarebbe una legalizzazione delle sparizioni, con la possibilità di trattenere le persone per mesi senza obbligo di dare notizie”. “Se puoi tenere qualcuno in un luogo diverso da un regolare luogo di detenzione – prosegue – senza dare notizie, aumenta molto il rischio di torture”, sia fisiche che psichiche.
Intanto il 26 agosto Sina.com, che gestisce il sinaweibo, il sito web più famoso e utilizzato in Cina equivalente a Twitter, ha avvisato i suoi 200 milioni di utenti che chi ha diffuso “notizie infondate” avrà l’account sospeso per un mese. La sospensione è stata subito applicata a due blogger che avevano denunciato fatti di corruzione, forse infondati.
Immediate e vibranti le proteste degli utenti del sito, che lo ritengono un modo di aumentare la censura del governo, che vorrebbe impedire la diffusione di qualsiasi notizia sgradita ma non ci riesce proprio per la rapidità della diffusione via internet tramite simili siti.
Qualcuno si chiede “come può Weibo sapere cosa è vero o no?”
Altri temono che questo sia solo un primo passo. Nei giorni scorsi il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista, ha pubblicato un articolo di un’intera pagina sulla “missione politica” di controllare i microblog e le altre nuove forme di media. Pechino da anni ha vietato persino la rivelazione di disastri, se non comunicati dai media ufficiali, e anche il disastro ferroviario del 23 luglio a Wenzhou si è diffuso soprattutto perché la notizia è subito apparsa sui microblog. Sempre più persone mettono sui blog notizie di ingiustizie, sperando che questo costringa le autorità a compiere indagini altrimenti negate. Nel 2009 le autorità hanno bloccato senza preavviso Twitter e Facebook, che sono tuttora bloccati.
Gli operatori dell’altro grande microblog cinese, Tencent, hanno ricevuto il 19 luglio la visita di Zhou Yongkang, membro del Politburo che cura la sicurezza pubblica, che li ha incitati a “una maggiore autodisciplina” per assicurarsi che internet promuova l’armonia sociale.
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