La Cina ora vuole “tagliare” i casi che prevedono la pena di morte
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina vuole togliere la pena di morte per molti reati che oggi la prevedono e abolirla del tutto per chi ha oltre 70 anni. Il quotidiano statale China Daily spiega che un progetto di legge sarà discusso dal Comitato permanente del Politburo entro fine agosto.
Oggi la pena di morte è prevista per 68 reati, 44 dei quali non sono commessi con violenza, dall’omicidio alla corruzione allo spaccio di stupefacenti a reati contro lo Stato. Anche se non sono rivelati i dati ufficiali, gruppi come Amnesty International calcolano che Pechino da molti anni ha il triste primato delle pene di morte irrogate ed ogni anno vi sono eseguite migliaia di pene capitali, pari a ben più della metà di quelle di tutto il mondo: nel 2008 le esecuzioni sono state 1718 su 2390 mondiali. Questa abolizione sarà la prima riduzione della pena dal 1979.
La pena di morte non si è rivelata un valido deterrente, per esempio per reati come la corruzione, anche perché è raro che per simili reati si giunga all’esecuzione. Proprio oggi Chen Shaoji, ex capo della Conferenza politica consultiva del popolo cinese per il Guangdong, è stato condannato a morte per avere accettato bustarelle per circa 30 milioni di yuan, ma con pena sospesa per due anni, formula che precede una commutazione in ergastolo dopo un periodo di buona condotta. Secondo dati ufficiali, almeno il 10% delle pene capitali sono commutate in carcere.
Tra i reati per cui la pena capitale sarà abolita, si parla della corruzione per somme contenute (non troppo superiori a 100mila yuan, 10mila euro), anche se è certo che la pena di morte permarrà per i casi di corruzione grave, vista la grande diffusione e l’allarme sociale.
Pare che la decisione sia presa anche per uniformare le condanne dei diversi tribunali, dato che, secondo uno studio di esperti dell’Univesità Jiatong di Shanghai, oggi alcune corti condannano a morte per casi di corruzione per cui altrove non è irrogato nemmeno l’ergastolo. Nel gennaio 2007 la Corte suprema del popolo, giudice centrale del Paese, ha avocato a sé il potere finale di sentenziare la pena capitale. In seguito la Corte ha anche chiesto ai giudici locali di usare tale pena in modo limitato e con “giustizia temperata con la pietà”.
Hanno fatto molto discutere casi clamorosi di condanne a morte irrogate per omicidi, per i quali dopo anni la “vittima” è tornata viva e vegeta. Per questo esperti commentano che il primo problema non riguarda tanto la gravità della pena, quanto la tutela dei diritti di difesa e che occorre piuttosto assicurare un’adeguata e corretta difesa sin dalla fase delle indagini di polizia e attribuire minor valore alle confessioni, spesso ottenute in circostanze poco chiare.