La Cina fa grandi affari in Iran grazie alle sanzioni degli altri Stati
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Gli scambi commerciali tra Cina e Iran sono decuplicati in pochi anni: da 2,5 miliardi di dollari nel 2000 ai 29,3 miliardi del 2010, Tehran è ora il 2° partner commerciale di Pechino dopo l’Unione europea. Esperti osservano che Pechino ha tratto vantaggio dalle sanzioni internazionali contro Tehran.
An Baouin, ricercatore dell’Accademia Cinese del Commercio Internazionale e per la Cooperazione Economica, spiega che “l’incremento dei legami economici cinesi con l’Iran è stato agevolato dal disimpegno occidentale”.
Molte democrazie hanno diminuito o cessato gli scambi commerciali con l’Iran, per protesta per la sua politica e in specie per il programma nucleare, che Tehran afferma avere solo fini civili ma che sottrae a controlli e ispezioni. Le ditte cinesi sono state abili a insinuarsi nei conseguenti vuoti.
Ad esempio l’Iran è ricco di gas e di petrolio e, a fronte del disimpegno di molte aziende occidentali, la China National Offshore Oil Corp. ha concluso nel 2008 un ricco contratto per l’esplorazione dei giacimenti di gas di North Pars. La statale cinese Sinopec dal 2007 ha il 51% delle quote di sfruttamento del giacimento di Yadavaran. L’Iran ha accettato di fornire alla Cina 150mila barili di petrolio al giorno per 25 anni al prezzo di mercato.
Allo stesso modo nel settembre 2010 il Giappone, quale sanzione contro il programma nucleare iraniano, ha cessato una serie di rapporti finanziari con 15 banche iraniane ritenute finanziatrici del programma nucleare. Sempre a settembre, la Corea del Sud ha sospeso i rapporti con 102 ditte ritenute collaborare con il programma nucleare, tra cui la divisione di Seoul della iraniana Banca Mellat, che gestisce circa il 70% delle esportazioni sudcoreane in Iran.
Le sanzioni internazionali riguardano la fornitura di armi o di cose che possono favorire il programma nucleare, per cui la Cina non viola alcuna disposizione aumentando i rapporti commerciali con Tehran. Ma è evidente che trae grande vantaggio dal disimpegno dei Paesi democratici.
Asadollah Asgaroladi, presidente della camera di commercio sino-iraniana, prevede che gli scambi per il 2015 arrivino a 50 miliardi di dollari. Nel 2010 Pechino ha importato merci iraniane per 18,2 miliardi (13 miliardi per petrolio e carburante minerale), esportando manufatti per 11,1 miliardi. An osserva al quotidiano South China Morning Post che gli effettivi scambi sono con certezza maggiori, stimandosi che “circa il 30-40% del commercio con l’Iran passi attraverso i Paesi suoi vicini, come gli Emirati Arabi Uniti”.
Nel giugno 2010 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato maggiori sanzioni contro l’Iran, con il voto favorevole anche della Cina. Stati Uniti, Unione europea, Giappone e Australia hanno applicato sanzioni unilaterali anche più dure. Invece la Cina aumenta i commerci, comprese parti di reattori nucleari e tecnologia. Il presidente iraniano Ahmadinejad indica questo rapporto come paradigmatico e spiega che il mondo ha bisogno "di un ordine nuovo, umanitario e giusto, che potrà essere definito e stabilito con l'aiuto di Iran e Cina".
Pechino, a sua volta, ripete che pratica una politica di rispetto reciproco per l’altrui indipendenza e sovranità nazionale e non interferisce negli affari interni del Paese. Ma la Cina commercia in modo sistematico con Paesi con regimi dittatoriali ostracizzati dagli Stati democratici: dal Sudan allo Zimbabwe all’Angola. Le ditte cinesi spesso sono anche presenti nei Paesi per sfruttare giacimenti d’energia e realizzare infrastrutture ed edifici. Come in Libia, dove c’erano 36mila lavoratori cinesi, fuggiti dopo i primi giorni di rivolta, con danni gravi per le aziende cinesi impegnate (vedi AsiaNews del 26.2.2011, Pesanti perdite per le ditte cinesi attive in Libia).