La Chiesa indiana in prima fila nella lotta all’Aids
Mumbai (AsiaNews) – Il recente rapporto dell’Unaids afferma che l’India è sulla via di invertire la diffusione dell’Aids nel Paese. “In India c’è stato un declino di quasi il 50 per cento in nuovi casi di infezione Hiv nell’ultima decade. I numeri sono scesi da 240 mila a 120 mila” ha detto il dott. Charles Gilks, coordinatore di Unaids per l’India. Il rapporto suggerisce che l’epidemia di Aids è stata bloccata e che l’India è fra i pochi Paesi che abbiano ottenuto un calo significativo nei tassi di nuove infezioni da Hiv. Globalmente le nuove infezioni da Hiv sono cadute del 20 per cento nell’ultima decade mentre le morti dovute all’Aids sono scese negli ultimi cinque anni del 20 per cento. A questi risultati contribuisce anche il poderoso impegno della Chiesa cattolica indiana.
In Asia l’epidemia è rimasta concentrata ampiamente fra persone che si iniettano droghe, fra persone che fanno del sesso un mestiere e uomini che praticano sesso con altri uomini. Si pensa che circa il 90 per cento dei nuovi casi di infezione in India siano causati da sesso non protetto, ma l’uso da parte di più persone di siringhe contaminate è il modello di trasmissione dell’Hiv predominante negli stati del nord est indiano.
Nell’India del sud fino al 15 per cento dei lavoratori del sesso convivono con l’Hiv. Però un programma di prevenzione della durata di quattro anni in 18 dei 27 distretti del Karnataka ha quasi dimezzato la presenza dell’Hiv nella fase prenatale. (Da1.4 al 0.8 per cento). L’India nel 2009 era il Paese con il più alto numero di donne incinte che vivevano con l’Hiv. E sul numero totale dei pazienti in India, circa il 40 per cento erano donne. Le donne rimangono infettate principalmente a causa dei loro mariti o in seguito a rapporti sessuali. I dati più recenti sui modelli di infezione da Hiv dimostrano che il 90 per cento delle donne indiane si ammalano nel corso di relazioni di lunga durata. Fra i 25 Paesi che hanno il più alto numero di persone che vivono con l’Hiv, l’India è fra quelli che tengono circa l’80 per cento dei malati in una terapia retro virale per almeno un anno.
L’arcivescovo di Agra, mons. Albert D’Souza, in un’intervista esclusiva ad AsiaNews ha detto: “La Chiesa cattolica in India è determinata ad aiutare le persone colpite dall’Hiv e dall’Aids. La Chiesa cattolica in India, è ‘sui passi di Gesù, il medico divino’. La nostra chiesa è impegnata intensamente nello sforzo nazionale di risposta all’Aids e il suo è fra i contributi maggiori nel facilitare l’accesso alla prevenzione, alla cura, all’appoggio dei malati e a ogni tipo di trattamento. E’ un’opera che si svolge attraverso la ‘Coalizione per l’aids e le malattie collegate’ della Conferenza episcopale indiana (Cbci).
La Cbci grazie alla sua commissione sanitaria è coinvolta nel Progetto di accesso alla cura e al trattamento (Pact) sponsorizzato dal Fondo globale sin dal giugno 2007. Questo è stato fatto come espressione concreta della politica dei vescovi in relazione all’Hiv e all’Aids: ‘Impegno per la compassione e la cura’. Oltre 150 istituzioni cattoliche in tutto il Paese sono coinvolte in questi programmi, e di queste 86 sono Centri di cura specializzati. Abbiamo persone preparate in questo campo, che aiutano i malati mettendo attenzione alla dignità della persona. E abbiamo anche dei rifugi speciali per bambini malati di Hiv e Aids, dove oltre alle cure l’istruzione e la riabilitazione sono una priorità”.
Mons. D’Souza ha poi aggiunto: “Tristemente le persone malate di Hiv sono stigmatizzate, e subiscono una discriminazione che è ingiusta, non etica e inumana. Nelle organizzazioni cattoliche sparse in tutta l’India la Chiesa considera una missione speciale quella di fornire una cura piena di misericordia e compassione per alleviare la vita dei malati, oltre a prendere misure concrete per evitare la diffusione del morbo”.
Ma lontano dalle grandi città la situazione è spesso molto difficile. Uno specialista del campo, il dott. Bulliyya, coordinatore di area di un progetto anti-Aids, (Laya) ha detto ad AsiaNews: “Lavoriamo in 80 villaggi nella zona di Addateegala, una remota area tribale del distretto di Godavari est, nell’Andra Pradesh. In questa zona c’è un tasso relativamente alto di malati, ma i servizi del governo sono molto scarsi, e la consapevolezza della malattia è molto bassa”.
30/11/2005