La Chiesa filippina condanna il massacro di Maguindanao
di Santosh Digal
I vescovi parlano di strage “senza precedenti” e invitano il governo a “sanare la profonda ferita” inferta al Paese e alle “istituzioni democratiche”. Ishmael Mangudadatu ufficializza la candidatura alle elezioni del 2010. Ieri a Mindanao ucciso un impiegato locale dell’Unicef.
Manila (AsiaNews) – La Chiesa cattolica filippina condanna la strage di Maguindanao del 23 novembre scorso, in cui sono morte 57 persone fra parenti e sostenitori di Ishmael “Toto” Mangudadatu, vice-sindaco di Buluan e candidato alla carica di governatore della provincia. L’uomo, intanto, ha ufficializzato la partecipazioni alle elezioni in programma nel 2010.
Mons. Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato e presidente della Conferenza dei vescovi asiatici, chiede “azioni decise perché sia fatta giustizia”. Il prelato parla di un massacro che “non ha precedenti” nella storia della provincia per “ferocia, brutalità, sfrontatezza”. Egli aggiunge però che non è il momento di farsi guidare “dalla logica della vendetta” che può far precipitare la zona “in una spirale di violenza”.
Il card. Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila, precisa che “è compito del governo esercitare la sua leadership” per sanare la “profonda ferita” che ha segnato il “cuore e le istituzioni democratiche del Paese”. “Bisogna curare le ferite – commenta – per prevenire conseguenze più tragiche”.
Padre Cesare Neri, della diocesi di Caloocan, sottolinea ad AsiaNews che il massacro rivela un volto “disumano” e tutte le persone di buona volontà, senza distinzione di fede religiosa, devono lavorare “per ristabilire la pace”. Suor Mary John Mananzan aggiunge che il governo della presidente Gloria Arroyo ha tollerato troppo a lungo la “cultura della violenza” (il sospettato numero uno della strage è un alleato politico della presidente, ndr) concedendo troppe libertà “ai signori della guerra e negando a più riprese la libertà di stampa”.
Intanto Ishmael “Toto” Mangudadatu ha ufficializzato la partecipazione alla competizione elettorale per la carica di governatore a Maguindanao. L’uomo, scortato da uno stuolo di agenti e militari, ha percorso la stessa strada del convoglio assaltato il 23 novembre scorso da un centinaio di uomini armati. Il commando ha massacrato la moglie, la sorella e altri sostenitori del politico, insieme a 27 giornalisti locali.
Mangudadatu ha chiarito che “solo la morte potrà impedirmi di partecipare alle elezioni”.
Sul fronte della giustizia, sono iniziati gli interrogatori di alcune persone indicate fra gli esecutori materiali della strage. Una parte avrebbe confermato di eseguire gli ordini di Andal Amaptuan Jr, sospettato numero uno della strage, agli arresti a Manila. L’uomo, rivale politico di Mangudadatu e figlio dell’attuale governatore, nega ogni addebito nella vicenda. Fra le persone sotto inchiesta vi è anche il capo della polizia di Maguindanao, che avrebbe “coperto” il raid del commando.
Ieri, sempre a Mindanao, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco un impiegato locale dell’Unicef, il fondo Onu per l’infanzia. L’assassinio è avvenuto in una zona poco distante dal punto in cui è avvenuto il massacro del 23 novembre. Dalle prime indagini pare si tratti di un omicidio di “natura privata”.
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