08/10/2004, 00.00
AFGHANISTAN
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L'Afghanistan delle elezioni è "assetato" di vita, pace e cambiamento

di Marta Allevato
Intervista a Giovanni Porta, direttore operativo dell'Ong, Aïna* a Kabul. Domani le prime elezioni presidenziali.

Kabul (AsiaNews) – La sete di cambiamento del popolo afghano, desideroso di lasciarsi alla spalle le violenze di decenni di guerra è più forte di tutti gli attentati, uccisioni e minacce che hanno accompagnato il cammino di questo paese verso il primo traguardo nel passaggio alla democrazia: le elezioni presidenziali dirette. In un'intervista ad AsiaNews, Giovanni Porta, direttore operativo di Aïna, una Ong con sede a Kabul, parla delle speranze che gli afghani ripongono nel voto di domani, senza nascondere le difficoltà nella sua attuazione in un paese che fatica a comprenderne il pieno significato.

Di questo periodo pre-elettorale risaltano soprattutto le violenze e le minacce al raggiungimento della democrazia. Ma passi positivi  in questa direzione sono già stati fatti…

Dopo la caduta dei talebani, tutto è migliorato. Il regime imposto dai mullah era così violento e impopolare che ben pochi lo rimpiangono. Il Paese si è immediatamente aperto, letteralmente assetato di vita, pace, cambiamento. Dai piccoli ma significativi segnali, come il ritorno degli aquiloni, banditi dai talebani, alle feste di matrimonio con musiche e balli, alla riapertura dei mercati, dell'iniziativa privata, con migliaia di negozi, piccole società, fabbriche a conduzione familiare. L'esplosione delle comunicazioni - ogni famiglia afghana, nelle grandi città, ha almeno un telefono cellulare - è uno degli aspetti più evidenti di questa sete di apertura e di nuovi contatti, all'interno del Paese e con l'esterno.

Le minacce paralizzano la popolazione o la convincono ancora di più della  necessità di un cambiamento?

C'è un diffuso desiderio di mettere fine al "potere delle armi". Tutti i sondaggi di opinione confermano che la principale preoccupazione degli afghani riguarda la sicurezza e la pace; al secondo posto vengono l'economia e il benessere delle famiglie. I cittadini vogliono tornare a vivere in tranquillità, senza il timore di nuovi conflitti, etnici, religiosi o di potere. I talebani costituiscono una minaccia, limitata alle regioni sud orientali, ma inquietante. Non godono del sostegno della popolazione, neppure nelle loro ex roccaforti pashtu, ma rappresentano un ostacolo militare alla pacificazione, anche per la loro alleanza tattica con l'ex "signore della guerra" Gulbuddin Hekmatyar.

Si aspettano cambiamenti positivi anche per le donne…

Le donne sono purtroppo ancora largamente assenti da questo vento di cambiamento, soprattutto nelle province. Ma anche a Kabul, gli osservatori esterni sono colpiti dal persistere di un evidente clima di emarginazione. Poche lasciano le abitazioni, moltissime quelle ancora costrette a indossare il burka. Ci sono, però, elementi di novità importanti: le ragazze sono tornate a scuola in massa e sono avide di sapere; le associazioni di donne rinascono; radio e giornali fatti dalle donne per le donne, tornano a fare opinione. Il test del voto, con i dati elettronici sull'effettiva partecipazione delle donne, sarà interessante anche per valutare il cammino fatto in questi ultimi tre anni.

Per gli afghani cosa significa "democrazia"?

A sostenere e incoraggiare la democrazia sono soprattutto le decine di migliaia di giovani che hanno trascorso infanzia e adolescenza all'estero, come rifugiati, soprattutto in Pakistan. Rientrati in Afghanistan dopo la caduta dei talebani, hanno portato una ventata di apertura e modernità. In generale l'atteggiamento degli afghani è prudente verso concetti politici così impegnativi e non molto chiari per la maggior parte della popolazione. Il processo di assorbimento di nuovi valori e pratiche politiche sarà senza dubbio lungo e faticoso. Ma questo primo voto è un importante passo in quella direzione.

Quali dovrebbero essere i passi successivi?

Per avere successo, la ricostruzione dell'Afghanistan deve procedere su due livelli paralleli: quello della rinascita materiale di un Paese distrutto da 25 anni ininterrotti di guerre e regimi autoritari; e quello della ricostruzione morale, di un'identità comune: l'essere "afghani" e non più solo pashtu, tagiki, hazara… L'imposizione, con la forza e l'intimidazione, di culture modernizzanti estranee (l'influenza sovietica) o di visioni estreme della cultura tradizionale (talebani) ha lasciato macerie morali e psicologiche. L'azzeramento forzato della cultura (il divieto di suonare e ascoltare musica; le persecuzioni contro poeti, scrittori e intellettuali) durante il regime del mullah Omar, hanno creato un vuoto che ora bisogna colmare. L'improvvisa apertura a nuove influenze - occidentale, indiana, pakistana - rischia di stravolgere e "contaminare" i valori culturali nazionali. E' necessario fornire agli afghani gli strumenti, le occasioni per riscoprire le proprie radici e sviluppare nuove correnti culturali.

 

* Aïna ("Specchio" in lingua locale - ndr) è una Ong fondata dal fotografo iraniano, Reza Deghati, nel 2001. Ha sede a Kabul e si propone lo sviluppo dei media locali e dell'espressione culturale dell'Afghanistan. Sostiene 8 pubblicazioni, tra cui il "Malalai", primo giornale femminile afghano.

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