20/01/2004, 00.00
iraq
Invia ad un amico

"L'Iraq, paese multietnico, spera nel federalismo"

di Pierre Balanian

Intervista a Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk

Kirkuk (AsiaNews) – Attentati sanguinosi, sciiti scesi in piazza per appoggiare l'ayatollah Al-Sistani, Bremer a Washington e al Palazzo di Vetro; l'Onu che ripensa al suo impegno a Baghdad: la situazione irachena è in rapida evoluzione. Nell'intervista rilasciata telefonicamente ad AsiaNews, Mons. Louis Sako, 56 anni, arcivescovo dei Caldei di Kirkuk, traccia un quadro sulle responsabilità degli attentati che uccidono la popolazione civile, sui futuri sviluppi del governo irakeno, sulla persecuzione dei cristiani. E termina con un appello ai paesi arabi perché aiutino a ricostruire l'Iraq e non a distruggerlo del tutto.

 

Eccellenza, come vive la popolazione irachena in mezzo all'insicurezza ed agli attentati?

La gente si è abituata a questa situazione anomala. La paura tuttavia, serpeggia nel cuore di tutti, si teme l'ignoto, l'inaspettato. Si compiono attentati contro persone innocenti, come quello a Baghdad 2 giorni fa [con 25 morti e 130 feriti – ndr] dove sono stati uccisi decine di civili usciti da casa e in cerca di lavoro. Per la paura la gente limita le sue uscite. Perfino noi cattolici, nelle nostre chiese, abbiamo anticipato gli orari delle messe ed eliminato quelle serali. Hanno fatto così anche alcune moschee. In generale, la gente è preoccupata, ma impotente. Negozi e mercati sono pieni di generi alimentari, ma li possono comprare solo quelli che hanno un reddito. Le infrastrutture sono in uno stato pietoso; la corrente elettrica s'interrompe varie volte; le strade sono quasi inagibili, soprattutto a causa delle forti piogge di questi giorni. Per quanto riguarda il carburante la situazione ora è leggermente migliorata.

Nonostante tutto, abbiamo fiducia e speranza un futuro migliore. Vi sono anche molte promesse da parte della Coalizione e dal Governo Provvisorio. La gente però, è stanca delle parole. Dopo 35 anni di sofferenze quotidiane e di repressione ora vuole dei fatti e non si accontenta di promesse.

È difficile convincere la gente che, per essere mantenute, le promesse hanno bisogno di tempo.  Ci vogliono persone, finanziamenti, azioni, tempo, per mettere in moto l'ingranaggio. La gente è ottimista ma non ha più pazienza. Noi, uomini di fede, abbiamo il compito di invitarli alla pazienza, a nutrire le speranze. Ma nessuno possiede la bacchetta magica.

 

Perché ci sono ancora degli attentati in Iraq? E chi si nasconde dietro a queste violenze?

Va detto che gli attentati sono relativamente diminuiti rispetto a qualche mese fa. Ad ogni modo, dietro questi attentati, vi sono persone che non vogliono vedere un Iraq progredito, alcuni contrari alla presenza americana, forze straniere, disoccupati che hanno perso ogni speranza, parassiti che amano pescare nel torbido, veri e propri criminali usciti dai carceri. Non vi è una sola mano responsabile del caos attuale. 

Io mi auguro che il popolo iracheno smetta di ricorrere alla violenza; che si dia tempo alla coalizione per poter operare, senza attentati, né disordini: dopo tutto, le vittime di questi attacchi sono gli iracheni stessi. E se c'è pace e sicurezza, allora torneranno gli investimenti stranieri, senza dei quali è difficile ricostruire il paese. Attentati e bombe non fanno altro che ritardare la nostra rinascita.

 

Ci giungono ogni tanto notizie di maltrattamenti nei confronti dei cristiani in Iraq, negozi di bevande alcoliche incendiati, minacce, rapimenti a scopo di estorsione e rapine a mano armata contro dei cristiani benestanti soprattutto a Baghdad ed a Bassorah? C'è da allarmarsi?

Mi permetta di precisare: in generale non esistono azioni contro la minoranza cristiana in quanto tale, ma vi sono azioni portate avanti da disoccupati o disperati. Ci sono poi degli ex-detenuti [liberati da Saddam Hussein –ndr] che circolano oggi liberamente e che hanno ripreso il loro sitle da delinquenti. Poi, esiste anche una corrente islamica integralista, contraria alle bevande alcoliche, ma non è un fenomeno generalizzato.

 

E la polizia irachena che fa?

Sono troppo pochi. Occorrono molti altri poliziotti. Attualmente non esiste un'autorità capace di imporre il rispetto della legge e delle istituzioni.

 

Ed il Consiglio Governativo Provvisorio?

Che cosa può fare? Manca un esercito. Le truppe americane hanno dei compiti difficili da compiere e non sono in grado di occuparsi anche della sicurezza pubblica. Il Consiglio Governativo Provvisorio, non può fare nulla, può soltanto parlare.

 

In questi giorni si discute molto sul futuro del governo iracheno, e si  è parlato anche di federalismo. Qual è il suo punto di vista?

In effetti il dibattito è molto acceso. E sarà complicato trovare una soluzione. Secondo me, la cosa migliore sarebbe formare ora un governo composto da persone cooptate per gestire in modo transitorio la situazione attuale. La soluzione migliore per il futuro sta nel federalismo geografico. L'essenziale è che si dia valore ad ogni individuo con la propria specificità religiosa, intellettuale, etnica. Quindi un solo paese, una sola politica estera, un solo esercito ed una sola moneta, ma nell'ambito di uno stato federale, dove non c'è una maggioranza che opprime una minoranza, né tanto meno, come era in passato, una minoranza che opprime una maggioranza. L'Iraq è un mosaico di civiltà, di culture, di religioni e di etnie. In uno stato federale, l'integrità territoriale sarà salvaguardata ed ognuno potrà godere di propri diritti. In questo modo ogni  regione potrebbe gestire meglio la ricostruzione, le necessità sanitarie, educative, senza lasciare tutto in mano ad potere centrale supercarico, che trascura, anche non volendo, le regioni lontane. Non si deve concentrare tutto solo su Baghdad: devono progredire anche le altre città.

 

Ieri, gli sciiti, sostenitori dell'ayatollah Al-Sistani, hanno manifestato a Baghdad. Il Capo sciita vuole le elezioni subito, è fattibile?

L'ayatollah Al-Sistani è una persona molto stimata da tutti, me compreso. Ma dobbiamo essere realisti: la sua richiesta di tenere le elezioni entro due mesi ha dell'impossibile. Quando manca una soluzione globale bisogna accontentarsi del realizzabile. Il popolo iracheno non è ancora pronto, va prima preparato, ha bisogno di assimilare la democrazia, deve imparare a rispettare ed accettare l'altro: tutto questo non è fattibile in uno o due giorni.  Dietro a queste richieste impossibili, ci sono spinte che vengono dall'estero, che non tengono conto della situazione interna e dei veri bisogni della gente. Spero che questo nuovo anno sia davvero buono per l'Iraq. Desidero rivolgere un appello a tutti perché aiutino l'Iraq. Mi rivolgo sopratutto ai nostri paesi vicini: ricordatevi  che l'Iraq è un paese arabo; un paese con una civiltà antichissima, che fa parte del patrimonio mondiale, e culla di una rispettabile civiltà islamica. Chiedo a tutti voi: aiutateci a ritrovare la stabilità e la pace; collaborate alla ricostruzione dell'Iraq; collaborate in modo positivo e non negativo, in questa delicata fase della nostra storia.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Il patriarca caldeo: "Grazie a tutti, ma soprattutto al Papa"
28/06/2004
Uccisi i 12 ostaggi nepalesi
31/08/2004
L'ayatollah al-Sistani biasima gli USA, ma accusa i paesi confinanti
03/03/2004
Patriarca Caldeo: "Macerie e distruzioni ovunque, ma non ci abbattiamo"
02/08/2004
Patriarca Caldeo: "Perdoniamo chi compie questi crimini"
08/11/2004


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”