L’Asia rallenta la crescita economica, e la Cina trema per l’inflazione
Secondo il Rapporto sullo sviluppo asiatico presentato oggi dall’Asian Development Bank, il continente asiatico frena la crescita interna. E sullo sfondo si staglia l’incubo dell’inflazione, che in Cina tocca il 6 % e rischia di scatenare rivolte sociali. Il governo di Pechino cerca di reagire, ma per ora invano.
Pechino (AsiaNews) - Crisi finanziaria internazionale e disastri naturali “hanno frenato, ma non fermato la crescita economica del continente asiatico, che quest’anno dovrebbe salire del 7,8 %. Resta tuttavia l’incognita dell’inflazione che, soprattutto in Cina, mette a rischio lo sviluppo di alcuni settori chiave e potrebbe portare a grosse tensioni sociali”. Lo ha detto questa mattina il capo degli economisti della Asian Development Bank, Changyong Rhee, presentando l’annuale Rapporto sullo sviluppo asiatico.
Escludendo il Giappone, che deve fare i conti con la ricostruzione post-terremoto, l’Asia come regione dovrebbe crescere del 7,8 % nel 2011 e del 7,7 % nel 2012. Si tratta di un passo indietro rispetto al 9% registrato nel 2010, quando il continente rispose allo scoppio della crisi finanziaria con un colpo di reni soprattutto bancario.
Per quanto riguarda la “triplice crisi” nipponica – tsunami, terremoto e allarme nucleare – non dovrebbe colpire lo sviluppo generale. Anzi, spiega Rhee, “potrebbe aiutare. Ci sarà bisogno di materie prime e di forza lavoro, che verrano dai Paesi vicini. Ovviamente se non peggiora la situazione delle centrali nucleari”.
Cina e India, spiega l’economista, “sono quelle più indicate a guidare la ripresa totale, anche se hanno subito i colpi più forti”. Soprattutto la Cina, dove si è passati dal 10,3 % del 2010 al 9,6 % del 2011. L’economia indiana, invece, dovrebbe arrivare all’8,2 % nel 2012, una flessione rispetto all’8,6 % del marzo 2011.
Ma sullo sfondo di questi dati, che sembrano confortanti, rimane lo spettro della crescita dell’inflazione. Nelle 45 economie asiatiche prese in considerazione dal Rapporto si è verificato infatti un aumento del tasso inflativo che, dal 4,4 % del 2010, è arrivato al 5,3 nell’anno in corso. Secondo Rhee, “l’Asia dello sviluppo economico è anche la casa di due terzi dei poveri di tutto il mondo. Loro sono i più vulnerabili davanti all’aumento dei prezzi”.
Soprattutto per quanto riguarda la questione alimentare, che ha già scatenato negli anni passati rivolte e tensioni sociali. Soprattutto in Cina, dove il divario fra ricchi e poveri è enorme: il governo di Pechino conosce bene il fenomeno, ma sembra incapace di frenarlo. È di ieri infatti l’annuncio (a sorpresa) del quarto aumento nei tassi di interessi cinesi in sei mesi.
Secondo la Banca del Popolo cinese, l’aumento (che porta il tasso al 6,31 %) servirà a combattere il restringimento valutario in corso sin da quando il governo – per contrastare la crisi internazionale – ha concesso prestiti in denaro contante a tassi bassissimi. Una mossa che si è rivelata dannosa e che ha fatto schizzare i prezzi al consumo.
Tanto che persino il China Securities Journal – quotidiano finanziario ufficiale – ha lanciato l’allarme: l’inflazione potrebbe toccare nei prossimi mesi il 6 %, uno dei tassi più alti della storia recente. Secondo un editoriale di prima pagina, “grazie al severo controllo della Banca centrale, il prezzo del denaro è stato tenuto a bada. Ma la pressione inflazionistica no”.
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