L'Ucraina, la Chiesa e il popolo
In una lunga intervista natalizia l'arcivescovo maggiore dei greco-cattolici Svjatoslav Ševčuk ha parlato del futuro dell'Ucraina guardandolo con gli occhi della fede. "La rappresentazione di Dio come il 'Grande Protettore' - ha spiegato - è uno stereotipo ormai andato distrutto. Dobbiamo imparare di nuovo a chiederci: Dio, dove possiamo trovarti nel tempo della guerra? In che modo oggi devo comunicare con Te?”.
In occasione del Santo Natale, che in Ucraina dallo scorso anno è festa nazionale e che festeggiano insieme i cattolici e gli ortodossi, tranne quelli ancora legati a Mosca e alle tradizioni del vecchio calendario, è uscita un’ampia intervista su Rbk-Ukraina all’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici, Sua Beatitudine Svjatoslav Ševčuk. I suoi fedeli lo ricordano nelle liturgie come “il nostro patriarca”, un titolo mai riconosciuto ufficialmente dalla Santa Sede per evitare ulteriori confusioni, ma ben chiaro nella mente degli eredi dell’Unione di Brest di fine Cinquecento. Oltre alle previsioni sul futuro della guerra con la Russia, argomento consueto di tutti i siti internazionali, il capo dei cattolici “di tradizione ortodossa” si è concentrato sull’argomento che in realtà gli sta veramente a cuore: non il rapporto con i russi, ma quello con il proprio popolo, e con il futuro della terra ucraina.
L’Ucraina è la Rus’(sia) che si rifiuta di far parte del “Mondo Russo”, cercando una propria identità e sentendosi parte dell’Europa e della fraternità universale dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, quelli che non cercano di imporsi sugli altri per affermare sé stessi, come da sempre cercano di fare i russi moscoviti. Secondo le indagini sociologiche, il numero dei fedeli ortodossi legati a Mosca si è drasticamente ridotto nei tre anni successivi all’invasione del Paese, mentre il numero dei greco-cattolici è aumentato sensibilmente, avvicinandosi alla Chiesa ortodossa autocefala (Pzu) e diventando la seconda comunità religiosa dell’Ucraina. Ševčuk però non rivendica primati o successi di proselitismo, anzi esprime la propria solidarietà a quanti si sono sentiti “traditi dalla propria Madre, la santa Russia”. Semmai rivendica il ruolo di protagonisti attivi, che i greco-cattolici cercano di svolgere in dialogo costruttivo con gli autocefali, il cui capo, il metropolita di Kiev Epifanyj (Dumenko), è stato recentemente ricevuto in Vaticano da papa Francesco, per unirsi nella ricostruzione di un Paese distrutto, umiliato e svuotato dagli assalti dei “fratelli maggiori” moscoviti.
Secondo l’arcivescovo, “il trauma di sentirsi traditi dalla propria Chiesa è un fenomeno particolarmente drammatico, che si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti, e la sociologia non basta a spiegare quello che accade nelle anime dei nostri fratelli e sorelle ucraine”. Quello che interessa al pastore supremo dei greco-cattolici non è tanto il modo di fermare la guerra, un compito che compete alle autorità statali e militari, ma “come la guerra ha influito sulla nostra società e sul nostro popolo, e le nuove sfide a cui la Chiesa è chiamata a rispondere, la nostra insieme alle altre Chiese ortodosse del nostro Paese”. È il terzo Natale e Capodanno di guerra, e il conflitto ha sconvolto tutte le relazioni umane, che non saranno facili da ricostruire, più ancora degli edifici e delle città devastate: “anzitutto la relazione con sé stessi, con ciò che oggi ciascuno di noi deve fare, quali priorità e quali rapporti con i propri cari e i propri vicini, per chi noi ci assumiamo la responsabilità e i doveri”, afferma il patriarca dei greco-cattolici.
Riguardo al tema delle nuove relazioni da ricostruire, Ševčuk fa un’osservazione veramente profonda, osservando che “sono cambiate radicalmente anche le relazioni con Dio, le regole e le abitudini della nostra vita spirituale e religiosa, siamo cambiati noi stessi”. A tutti quelli che guardano all’Ucraina dall’esterno, pensando di conoscere la gente che ci abita, “dobbiamo dire che quell’Ucraina che pensavate di conoscere, oggi non esiste più… noi siamo diversi, e vogliamo essere migliori”. Avendo vissuto un’esperienza così tragica, “noi stiamo vivendo il momento di un nuova nascita, meglio ancora una ri-nascita”, in cui ci sono gli eroi che difendono la patria non solo sui campi di battaglia, ma anche i “giganti dello spirito che ci riportano alle fondamenta più profonde dell’esistenza del nostro popolo, alla matrice della nostra vita nazionale e spirituale”.
La guerra è anche causa di una crisi di fede, cercando riparo dal nemico invocando l’ausilio divino che sembra non arrivare, ma “non è così che funziona il rapporto con Dio”, spiega l’arcivescovo: “il vero Dio vivente è una persona, è un Qualcuno, non soltanto un qualcosa, e dobbiamo saperlo riconoscere nel rapporto personale con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nel contesto delle nostre capacità di relazione”. La rappresentazione di Dio come il “Grande Protettore” che garantisce il nostro benessere è uno “stereotipo che ormai è andato distrutto, per cui dobbiamo imparare di nuovo a chiederci: Dio, dove sei? Dove possiamo trovarti nel tempo della guerra? In che modo oggi devo comunicare con Te? Dobbiamo riscoprire l’autentica presenza di Dio tra di noi”, invita Ševčuk. Per molte persone Dio è scomparso dall’orizzonte spirituale, poi è tornato a manifestarsi, e “in questi tre anni abbiamo vissuto tanti momenti del genere, momenti di terrore e impotenza, e poi di rigenerazione delle nostre forze, di difesa comune della nostra vita e della nostra terra, quindi ancora di stanchezza e depressione, cercando sempre la fonte che possa ridarci l’energia e l’amore per la vita”.
Si curano le ferite e si rianimano gli spiriti, solo questo è il segreto della straordinaria capacità di resistenza del popolo ucraino. L’esperienza della guerra aiuta i credenti a riscoprire in modo nuovo l’immagine del Dio vivificante, non solo per difendersi dal male, ma per ricostruire sé stessi, la società e la vita del popolo. Nell’intervista si ricorda l’incontro del Sinodo dei vescovi greco-cattolici con le autorità civili, nel contesto del “piano di resistenza dell’Ucraina”, e l’arcivescovo sottolinea l’importanza della “valorizzazione sempre più significativa del ruolo e del posto della Chiesa in questi tempi difficili”. Gli uomini al potere coltivano spesso l’illusione di poter fare tutto da soli, mentre ora appare più evidente che “la vita religiosa del popolo e il sostegno della Chiesa sono il segreto dell’autentica vittoria che vogliamo ottenere”. Si precisa che non si parla soltanto del servizio di assistenza sociale della Chiesa, o della difesa degli interessi nazionali ucraini a livello internazionale, ma “del ruolo di accompagnamento del nostro popolo, sottoposto alla follia della guerra”.
Le persone hanno bisogno di non sentirsi sole e abbandonate, e la presenza dei sacerdoti ricorda che c’è sempre qualcuno che si prende cura di chi soffre, di chi ha bisogno di un consiglio, riscoprendo la natura pastorale della Chiesa, prima di quella caritativa e sociale. “Noi siamo una Chiesa fondata su radici che risalgono al primo cristianesimo di Kiev”, ricorda Ševčuk, “con legami fraterni con gli ortodossi, e in unione con tutta la Chiesa cattolica universale, metà delle nostre strutture si trova al di fuori dei confini dell’Ucraina”. È per questo che “l’aggressore russo ci odia così tanto, e ha sempre cercato di distruggere proprio la Chiesa greco-cattolica, sia ai tempi degli zar che in quelli sovietici, tanto più oggi, quando il padrone del Cremlino cerca di ricostruire l’impero”. Riprendendo un termine molto usato dal patriarcato di Mosca, l’arcivescovo spiega che anche la Chiesa greco-cattolica è “istitutrice dello Stato”, gosudarstvo-ustanavitelnaja, per il contributo nella storia e nella rinascita attuale, ma non è mai stata e non intende essere una “Chiesa di Stato”, gosudarstvennaja Tserkov.
Alle domande sul ruolo della Santa Sede nel conflitto russo-ucraino, che ha spesso suscitato delle perplessità tra gli ucraini e tra gli stessi greco-cattolici, Ševčuk spiega che “alla guerra si può guardare dal punto di vista delle vittime, oppure da quello di chi cerca di essere arbitro a livello internazionale, per servire tutti i popoli che soffrono e realizzare una missione di pacificatore universale”. Quando papa Francesco parla dei “due popoli fratelli” non intende questo alla maniera dei russi, come giustificazione di un’invasione e di un genocidio, e comunque “ultimamente ha detto che siamo cugini, non proprio fratelli, anche se a noi basta dire che siamo vicini, senza precisare i gradi di parentela”. Ševčuk ricorda gli anni del suo ministero in Argentina, quando Bergoglio era il suo superiore come arcivescovo metropolita di Buenos Aires, “lo sento sempre spesso e parliamo tra noi in spagnolo”, scambiandosi i punti di vista anche quando non sono del tutto coincidenti.
Il Vaticano non ha un ruolo attivo di mediatore politico nelle possibili trattative di pace, assicura il capo dei greco-cattolici, anche perché “nessuno glielo ha chiesto”, ma da dieci anni s’impegna nel dialogo umanitario, oltre che religioso, fin dall’annessione della Crimea e dall’inizio del conflitto nel Donbass. Egli osserva che “ci hanno proposto e attribuito mediatori di ogni genere, ma finora non è iniziata alcuna trattativa, vediamo che cosa succederà quest’anno”. I greco-cattolici, del resto, sono già all’opera, per la rinascita dell’Ucraina.
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