Kuala Lumpur vuole tagliare le pensioni dei nuovi dipendenti pubblici
Il piano del primo ministro Anwar Ibrahim prevede l'iscrizione a un fondo diverso rispetto a quello statale. Ricetta impopolare che mette a rischio il sostegno politico. La Malaysia non è l’unico Paese del sud-est asiatico costretto ad affrontare decisioni difficili in termini di politiche pensionistiche: poche le nazioni pronte ad affrontare l'invecchiamento demografico.
Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) - Il governo della Malaysia guidato dal primo ministro Anwar Ibrahim ha proposto un taglio della spesa per le pensioni dei nuovi dipendenti pubblici, una mossa che molti ritengono necessaria per evitare la bancarotta, ma che allo stesso tempo, secondo alcuni analisti, rischia di scontentare gli elettori di etnia malese maggioritaria che sono prevalentemente impiegati nel settore statale.
Secondo le stime, le pensioni di oltre 900mila dipendenti che andranno in pensione quest’anno costeranno almeno 32 miliardi di ringgit (6,2 miliardi di euro), una cifra che salirà a 120 miliardi (23,3 miliardi di euro) entro il 2040 se non verrà attuato il piano proposto. Lo schema potrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno, una volta che il premier Anwar Ibrahim avrà ottenuto l’approvazione da parte dell’esecutivo di una modifica della Costituzione. Il taglio delle pensioni è una questione dibattuta in Malaysia fin dagli anni ‘90, hanno sottolineato gli esperti, aggiungendo che la coalizione del Pakatan Harapan rischia però di perdere sostegno politico. Alle elezioni del 2022 l’alleanza aveva ottenuto solo l’11% delle preferenze tra i cittadini di etnia malese, e un’indagine condotta a novembre 2023 mostra che oltre l’80% dei malesi è insoddisfatto delle politiche economiche del premier.
Al momento i dipendenti pubblici possono optare per il regime pensionistico governativo, al quale non versano contributi, o optare di contribuire all'Employee Provident Fund (EPF), il fondo pensionistico dedicato ai lavoratori del settore privato. Secondo la proposta del governo, tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il primo febbraio dovranno obbligatoriamente versare contributi all’EPF o ad altri fondi pensionistici.
La Malaysia non è l’unico Paese del sud-est asiatico costretto ad affrontare decisioni difficili in termini di politiche pensionistiche: secondo uno studio del Nikkei Asia, una testata che si occupa prevalentemente di questioni finanziarie, solo un quarto della popolazione della regione in età lavorativa - dai 15 ai 64 anni - ha accesso a una pensione statale, un problema destinato a peggiorare con l’invecchiamento della popolazione e la crescente carenza di manodopera. Il mese scorso, per esempio, l'amministrazione di Ho Chi Minh City ha annunciato che prevede un gap di 320mila lavoratori nel 2024. Ed è probabile quindi che nei prossimi anni si riduca il numero di lavoratori del sud-est asiatico inviati all’estero, in particolare in Giappone, dove sono impiegati circa 520mila vietnamiti e 230mila filippini.
Nonostante i dati demografici sull’invecchiamento non abbiano ancora raggiunto i valori giapponesi o europei, non mancano tuttavia i segnali che puntano nella stessa direzione. Per la Thailandia, dove il 16% della popolazione ha già più di 65 anni, il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia nazionale crescerà a ritmi molto più lenti rispetto al passato.
Ma la maggior parte dei Paesi del sud-est asiatico al momento è impreparata ad affrontare le conseguenze dell’invecchiamento demografico, soprattutto sul piano pensionistico: secondo dati risalenti al 2021 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), in Indonesia e in Vietnam meno del 30% della popolazione in età lavorativa ha accesso a una pensione pubblica, un dato che anche a Singapore è inferiore al 60%, contro una media Ocse dell’87%. Inoltre, in molti Paesi del sud-est asiatico, come la Thailandia e la Malaysia, è possibile andare in pensione a partire già dai 55 anni. “In futuro si potrebbe assistere a un forte aumento dell'onere finanziario per i governi e le famiglie”, ha confermato l’analista Shotaro Kumagai del Japan Research Institute.
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