Kim Ki-duk, il primo coreano a vincere un Festival europeo
Seoul (AsiaNews) - La vittoria del regista sudcoreano Kim Ki-duk alla 69esima Mostra del cinema di Venezia segna una prima assoluta per il cinema di Seoul, che fino ad ora non aveva avuto alcun premiato nei "Tre grandi" Festival europei (gli altri due sono Berlino e Cannes). E Kim, poco amato in patria, ha festeggiato cantando in occasione della premiazione "Arirang", la canzone popolare più comune del suo Paese.
Il film che lo ha portato alla vittoria si intitola "Pietà" e la locandina è una rivisitazione della celebre, omonima statua di Michelangelo. La storia tuttavia non parla di religione ma di violenza: un usuraio grande e grosso fa di tutto per recuperare i suoi soldi e lo fa senza remore, seviziando le sue vittime. Questo finché non appare nella sua vita una donna che sostiene di essere sua madre e tutto cambia. Il regista sostiene che il titolo "è stato scelto perché in questo mondo contemporaneo c'è ancora più bisogno di pietà e comprensione. Il denaro è pericoloso per l'uso che ne facciamo".
Si tratta del terzo film a carattere religioso di Kim. Prima di "Pietà" ha girato "La Samaritana" - ispirato all'episodio evangelico ma con ben altro svolgimento - e "Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera", ambientato invece in un monastero buddista. D'altra parte, la sua storia personale dimostra un avvicinamento alla religione cristiana: dopo essere stato educato dai protestanti coreani, ha cercato di divenire pastore di una chiesa per non vedenti ma è stato allontanato dal seminario. E sicuramente nei suoi film il senso religioso, se c'è, tende all'autodistruzione.
Parlando con "Cinema coreano", il regista spiegava subito dopo la vittoria del Leone d'Argento per "Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera" il suo punto di vista sull'influenza religiosa: "Negli ultimi tempi vedo sempre più la religione come una maschera dei popoli, io voglio parlare della natura umana, dei pensieri dell'uomo, la cosa più importante è comprendersi a vicenda piuttosto che comprendere la religione".