Kashmir, "bisogna aiutare senza fermarsi mai"
A quattro settimane dalla scossa in Kashmir mancano ancora tende, aiuto sanitario e mezzi di trasporto. Il racconto di un operatore Caritas.
Mansehra (AsiaNews) "Ancora poche" le risorse di uomini e mezzi a disposizione dei sopravvissuti al terremoto che l'8 ottobre ha colpito il Kashmir indo-pakistano. Il freddo, le urgenze sanitarie, la mancanza di mezzi di trasporto e l'inefficienza di alcune Ong "rendono difficili le operazioni di primo soccorso". Tom ten Boer è membro di Cordaid, partner olandese della Caritas, e guida un'equipe di soccorso nel Kashmir pakistano. Nel suo racconto spiega lo sviluppo dei soccorsi e le carenze che devono essere colmate se si vogliono salvare vite umane. Di seguito riportiamo la sua testimonianza.
Quattro settimane dopo il disastro, guardare in modo realistico la situazione dà un senso negativo e positivo. Il senso positivo è che ora siamo in grado di capire cosa sia più utile per aiutare i sopravvissuti e siamo in grado di raggiungere le zone più difficili. Abbiamo raggiunto villaggi che hanno atteso più di 25 giorni per il primo soccorso.
La priorità assoluta continua ad essere il calore, i rifugi per gi sfollati, ma anche avere personale medico preparato: abbiamo bisogno di chirurghi che possano lavorare in condizioni critiche perché qui gli ospedali sono semi-distrutti ed abbiamo pochissima attrezzatura. I medici devono andare dove la gente è riunita, perché non possono essere loro a venire da noi, ed operare se necessario anche in una tenda. La Caritas ha un gruppo di medici molto preparati che affrontano quotidianamente questa situazione, ma ne servono altri che possano vaccinare contro tetano, poliomielite e morbillo.
Il lato negativo è che non abbiamo tende a sufficienza, non possiamo fare una campagna di vaccinazione infantile e non possiamo far lavorare i medici 24 ore al giorno. E' fuori controllo, inoltre, il numero dei pazienti nelle zone rurali che hanno bisogno di interventi medici.
Le strade sono fragili, le scosse di assestamento hanno reso il terreno friabile. A volte non possiamo inviare tende e soccorsi medici o alimentari a sufficienza per un dato villaggio, perché un camion grosso non può percorrere la strada a causa delle possibili frane. Allora dobbiamo inviare camion più piccoli, ma già sappiamo che si creeranno resse e possibili diverbi fra gli abitanti dei villaggi data la scarsità del materiale.
I trasporti non sono garantiti: a volte ci accordiamo con degli autisti locali con mezzi propri per mandare materiale, ma il giorno stabilito non si presentano perché qualcun altro ha offerto loro più denaro.
La gente non scende dalle montagne perché ha paura: prima dell'8 ottobre avevano una casa a Balakot dove passare l'inverno, ma ora Balakot non esiste più. Chi sta sui monti si tiene stretto alla terra che possiede là, perché ha paura che qualcuno gliela rubi durante l'inverno. La proprietà sui monti qui rappresenta un valore ancestrale. La gente aveva nascosto sotto terra le provviste invernali, che ora sono state inghiottite nel terreno. Il grano non è stato protetto dalla pioggia ed ora è inutilizzabile, ma lo stesso non scendono. Dobbiamo andare noi da loro.
La Caritas pakistana ha molta esperienza nello sviluppo di progetti locali, ma non ha mai affrontato un disastro di così vasta scala. E' la prima volta che li vedo all'opera, ma la forza della Caritas è che lavora con personale qualificato. Mandano le persone giuste nei posti giusti. Sfortunatamente, non sono molte le associazioni che operano così, e si muovono solo quando c'è bisogno di azione immediata, senza preparazione.
La cosa più importante è l'umanità con cui si tratta con tutti: se una persona non è soddisfatta di come abbiamo operato per aiutarla, vuol dire che non abbiamo fatto abbastanza.
11/11/2005