Kachin e Shan: è guerra civile fra esercito birmano e milizie etniche
Le truppe del Kia colpiscono un ponte che collega Mandalay con Myitkyina, per tagliare i rifornimenti all’esercito. Nella notte tre bombe contro edifici governativi nella capitale dello Stato Kachin. Oltre 2mila profughi, si aggrava la crisi umanitaria. Rischio colera nelle zone interessate dal conflitto.
Yangon (AsiaNews) – Gli Stati Kachin e Shan, nel nord del Myanmar, sono sull’orlo di una guerra civile che vede coinvolte le milizie etniche e l’esercito governativo birmano. Attacchi bomba, ponti che saltano in aria, linee di comunicazioni interrotte, agguati e morti sui due fronti. Intanto si aggrava la crisi umanitaria, con oltre 2mila profughi che hanno abbandonato le loro case in ampie aree del territorio Kachin. Attivisti e associazioni umanitarie lanciano l’allarme: mancano cibo e medicine e vi è il rischio concreto di epidemie di colera, influenza e malaria.
Nella notte le truppe ribelli del Kachin Independence Army (Kia) hanno fatto esplodere un ponte sul fiume Namkoi, che collegava la città di Mandalay con Myitkyina, capitale dello Stato. I ribelli hanno centrato un obiettivo sensibile, perché utilizzato dalle truppe governative quale principale mezzo di trasporto e collegamento di uomini e mezzi.
I ribelli hanno inoltre rivendicato tre attacchi bomba, avvenuti nella notte, sempre a Myitkyina. Gli ordigni hanno centrato alcuni edifici utilizzati dai militari birmani, senza provocare morti o feriti. Il Kia è il secondo gruppo etnico armato per numeri e importanza del Myanmar; i capi del movimento avrebbero autorizzato una serie di blitz mirati contro truppe e infrastrutture legate al governo centrale.
Le violenze fra milizie ribelli ed esercito sono divampate il 9 giugno scorso e la situazione si fa sempre più critica. Fonti di AsiaNews in Myanmar confermano che le milizie legate alle minoranze etniche sono decise a sferrare attacchi contro i governativi e l’unione fra gruppi diversi – Kachin, Shan e altri – potrebbe incrinare il dominio della giunta militare, “vero potere forte” di un Paese che da pochi mesi ha trasferito le cariche nelle mani di un governo civile.
Intanto si aggrava la crisi umanitaria nelle zone interessate dalla guerra. Oltre 2mila rifugiati Kachin hanno abbandonato le aree teatro del conflitto. Essi necessitano di cibo, acqua, beni di prima necessità, coperte e medicine. Gli attivisti manifestano particolare preoccupazione per possibili epidemie di malaria, influenza e dissenteria. Sono stati segnalati anche casi di colera, ma finora non si registrano decessi. La maggior parte dei profughi provengono dalle città di Momauk, Bhamo, Mansi e Waingmaw.
Nella notte le truppe ribelli del Kachin Independence Army (Kia) hanno fatto esplodere un ponte sul fiume Namkoi, che collegava la città di Mandalay con Myitkyina, capitale dello Stato. I ribelli hanno centrato un obiettivo sensibile, perché utilizzato dalle truppe governative quale principale mezzo di trasporto e collegamento di uomini e mezzi.
I ribelli hanno inoltre rivendicato tre attacchi bomba, avvenuti nella notte, sempre a Myitkyina. Gli ordigni hanno centrato alcuni edifici utilizzati dai militari birmani, senza provocare morti o feriti. Il Kia è il secondo gruppo etnico armato per numeri e importanza del Myanmar; i capi del movimento avrebbero autorizzato una serie di blitz mirati contro truppe e infrastrutture legate al governo centrale.
Le violenze fra milizie ribelli ed esercito sono divampate il 9 giugno scorso e la situazione si fa sempre più critica. Fonti di AsiaNews in Myanmar confermano che le milizie legate alle minoranze etniche sono decise a sferrare attacchi contro i governativi e l’unione fra gruppi diversi – Kachin, Shan e altri – potrebbe incrinare il dominio della giunta militare, “vero potere forte” di un Paese che da pochi mesi ha trasferito le cariche nelle mani di un governo civile.
Intanto si aggrava la crisi umanitaria nelle zone interessate dalla guerra. Oltre 2mila rifugiati Kachin hanno abbandonato le aree teatro del conflitto. Essi necessitano di cibo, acqua, beni di prima necessità, coperte e medicine. Gli attivisti manifestano particolare preoccupazione per possibili epidemie di malaria, influenza e dissenteria. Sono stati segnalati anche casi di colera, ma finora non si registrano decessi. La maggior parte dei profughi provengono dalle città di Momauk, Bhamo, Mansi e Waingmaw.
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