01/09/2023, 08.19
AFGHANISTAN-KIRGHIZISTAN
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Kabul due anni dopo con gli occhi dell'Asia Centrale

di Vladimir Rozanskij

Rosa Otunbaeva, già presidente del Kirghizistan e attuale rappresentante speciale dell’Onu per le relazioni con l'Afghanistan, ha tracciato in un'intervista il bilancio della situazione. Riconoscendo ai talebani anche alcuni successi, ma ricordando che nelle aree rurali i livelli di vita "sembrano rimasti all’età della pietra”. "Dobbiamo imparare a conoscere i limiti reciproci, e pensare al futuro degli afghani e di tutti i popoli".

Biškek (AsiaNews) - La situazione dell’Afghanistan, a due anni dal ritorno dei talebani che a fine agosto 2021 presero il potere dopo l’uscita degli ultimi soldati americani, è stata commentata in un’intervista ad Azattyk da Rosa Otunbaeva, presidente del Kirghizistan nel 2010-2011 (prima donna in uno Stato ex-sovietico), e da un anno rappresentante speciale dell’Onu per le relazioni con Kabul. Le notizie dall’Afghanistan, in effetti, continuano a suscitare preoccupazioni in tutta la regione dell’Asia centrale circa possibili nuovi fronti di conflitto.

La Otunbaeva ritiene però che “per la popolazione afghana la situazione in realtà è cambiata in meglio, e lo attesta il fatto che da ogni angolo del Paese le persone arrivano a Kabul senza timori, per ricevere le cure delle ottime cliniche moderne che vi si trovano”. In precedenza era molto pericoloso attraversare le strade periferiche. E non è neppure il caso di ritenere che l’Afghanistan sia ridotto a un cumulo di rovine, racconta la rappresentante Onu: “nel periodo da me trascorso ho visto 6-7 aeroporti che possono essere considerati di prima classe, il 'Kandahar', 'Mazari-Sharif', 'Herat', 'Jelalabad', sono tutti ottimi, ed erano stati ben conservati per la loro importanza anche durante la guerra”.

Kabul è una città di 5 milioni di abitanti, su un territorio molto esteso. Negli ultimi 20 anni, durante la permanenza degli americani, è stata svolta un’opera capitale di ristrutturazione edilizia, con la costruzione di molti edifici multipiano, anche se rimane un forte contrasto tra le condizioni dei ricchi e dei poveri. Certamente nella parte rurale i livelli di vita rimangono molto arretrati, “come il cielo e la terra”, assicura Otunbaeva: “sono stata nella provincia di Khowst, dove due anni fa c’è stato anche un terremoto, e sembra rimasta all’età della pietra”.

Dal punto di vista del commercio internazionale, l’Afghanistan ha accesso ai mercati dell’Iran, del Pakistan e dell’Asia centrale, e gli afghani si distinguono per una notevole vivacità imprenditoriale. L’economia del Paese sta raggiungendo un certo grado di stabilità, anche se non a tutti i Paesi questo può fare piacere, e la conferma viene anche dagli indicatori della Banca mondiale. Dal punto di vista delle libertà sociali ovviamente le condizioni sono molto problematiche, per la continua serie di divieti imposti dai talebani alla vita dei propri cittadini, e perfino alla missione dell’Onu.

La gestione del Paese è in mano al governo di Kabul, con i suoi precari ministri, che non è riconosciuto da nessuno dei 190 Paesi del mondo. Esiste anche l’emirato di Kandahar, il cui emiro non si è mai mostrato in pubblico e non comunica con il mondo esterno. Eppure Otunbaeva riconosce che “non possiamo dire nulla di male del loro lavoro, cercano di fare tutto il possibile”, almeno a livello economico. Le difficoltà sono comunque enormi, e la maggior parte della popolazione vive in condizioni molto misere; la missione dell’Onu distribuisce generi alimentari a più di 20 milioni di abitanti come aiuti umanitari, oltre all’assistenza medica, e rimane molto alta la mortalità infantile e delle partorienti.

Un capitolo molto sensibile rimane quello dell’istruzione pubblica, con circa il 50% di analfabeti tra la popolazione. È anche difficile rilevare statisticamente questi dati, visto che l’ultimo censimento della popolazione risale al 1977. Le donne alfabetizzate sono intorno al 30%, e oggi sono state escluse dal processo formativo per le “tradizioni nazionali”, che “sono presenti in molti Paesi”, ricorda l’ex-presidente di Biškek. Del resto, l’Afghanistan è un coacervo di etnie, tra pashtun, tagichi, uzbeki, turkmeni, khazari e altri, anche se il governo rimane sotto il controllo dei pashtun, il popolo più arretrato e conservatore tra tutti, soprattutto nei confronti delle donne, a cui non si permette neppure di mostrare il volto.

Queste tradizioni “tribali” vengono giustificate religiosamente con lo slogan “prima l’Islam, poi l’Afghanistan”, che viene innalzato anche sulle vette dei monti. Eppure gli aiuti umanitari vengono in parte predominante dall’Occidente; i Paesi arabi musulmani danno qualcosa soltanto in occasione delle festività islamiche. Otunbaeva conclude che “questi contrasti devono essere di lezione per tutti noi: dobbiamo imparare a conoscere i limiti reciproci, e pensare al futuro degli afghani e di tutti i popoli, dell’Asia e del mondo intero”.

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