Jesuit Refugee Service: Il mondo non dimentichi i profughi del Bhutan
Il direttore internazionale del JRS racconta la missione della Chiesa per la pace e riconciliazione tra i rifugiati dell'Asia e ricorda: "Quella dei bhutanesi in Nepal, la situazione più tragica".
Roma (AsiaNews) Tra i rifugiati in Asia chi soffre di più sono quelli del Bhutan. A reclamarne l'attenzione è il direttore internazionale del Servizio dei gesuiti per i rifugiati (JRS). Nella giornata mondiale Onu del rifugiato, p. Lluis Magrina sj ricorda ad AsiaNews la piaga dei bhutanesi, profughi in Nepal da 13 anni. "Dobbiamo sottolineare la situazione tragica dei rifugiati bhutanesi dice la loro condizione peggiora perché più passa il tempo e più si convincono che per loro non c'è futuro. Questa gente non ha speranze e cade nella disperazione".
Circa 130 mila rifugiati provenienti dal Bhutan, ma di origine nepalese, vivono da 13 anni in 7 diversi campi del Nepal orientale; sono fuggiti dal loro Paese negli anni '80 a seguito di un'ondata repressiva innescata dalla richiesta di riforme; finora gli sforzi da parte del Nepal e di realtà internazionali per rimpatriarli sono falliti.
Il JRS lavora proprio in questi campi profughi: offre servizi scolastici per conto della Caritas e dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Una delle missioni più importanti e difficili dei volontari, però, è il semplice sostegno morale e spirituale ai bhutanesi, sempre più scoraggiati per le loro sofferenze. "La cosa importante sottolinea p. Magrina è che la Chiesa rimanga vicino a queste persone, dimostrando che qualcuno si interessa a loro". "I rifugiati si sentono del tutto privi di identità, così avere un amico significa molto per loro: è un legame con il mondo esterno, un affetto in più".
Per questo il messaggio di p. Magrina e del JRS per la Giornata mondiale del rifugiato è un appello al mondo e alle varie organizzazioni internazionali "perché ascoltino di più i rifugiati e imparino i loro bisogni per poi risponderne in modo adeguato".
Da numerosi anni il JRS opera in tutta l'Asia con programmi per i rifugiati, di cui centinaia di migliaia sono lontani dalle loro case da anni. I programmi di aiuto non sono rivolti solo ai profughi del Bhutan, ma anche a quelli dello Sri Lanka rifugiati in Tamil Nadu India - e i birmani rifugiati in Thailandia, per citarne alcuni.
A parte i programmi di aiuto, il JRS presente in più di 50 paesi nel mondo è impegnato nell'istruzione, nella pastorale e, in modo sempre maggiore, in lavori di pace e riconciliazione nelle aree sconvolte da violenze etniche e religiose. Nell'arcipelago indonesiano delle Molucche, ad esempio - dove un conflitto tra cristiani e musulmani dal 1999 al 2001 ha causato 5 mila morti e mezzo milione di profughi il Servizio dei gesuiti offre aiuto senza distinzioni con personale misto proveniente da entrambe le comunità religiose. "Lavorare per la pace e la riconciliazione è la missione a cui ci sentiamo sempre più chiamati - spiega p. Magrina - i rifugiati ci ricordano quanto sia importante la pace, nella nostra vita, nei nostri cuori, nei nostri rapporti con gli altri e con il mondo".
Dopo lo tsunami del 26 dicembre scorso il lavoro del JRS in Asia è aumentato. L'organizzazione ha avviato progetti per le vittime del maremoto nella provincia indonesiana di Aceh, già sconvolta dal conflitto tra separatisti e esercito nazionale, e anche in Sri Lanka. Qui, i volontari hanno dovuto anche rimettere in piedi opere già portate a termine prima dello tsunami, ma distrutte dall'onda. P. Magrina racconta che tra queste ci sono "scuole e progetti di ricollocamento avviati per i rimpatriati dall'India". Il gesuita conclude ricordando che l'organizzazione continua a lavorare per un problema ancora "enorme" creato dallo tsunami, specialmente ad Aceh: i bambini orfani del disastro naturale. (DV)