Java: il terremoto costringe a ripartire da zero
AsiaNews visita le aree più colpite dal terremoto del 27 maggio a Java: Wedi, Gantiwarno e Bayat nella reggenza di Klaten. Le storie dei sopravvissuti: chi cerca tra le macerie gli ultimi oggetti di valore, chi è paralizzato dal terrore. La tragedia provoca fenomeni sconosciuti alla zona: accattonaggio e traffico automobilistico.
Wedi (AsiaNews) Di giorno, rimuovere le macerie della propria casa e costruirsi un riparo provvisorio ai bordi delle strade; di notte, cercare di dormire al freddo in una tenda, mentre le scosse di assestamento impediscono sonni tranquilli. E dal governo ancora nessun aiuto. Così si vive a Wedi, Gantiwarno e Bayat, distretti nella reggenza di Klaten, dopo una settimana dal tragico terremoto che sull'isola indonesiana di Java ha ucciso 5782 persone. AsiaNews ha visitato questi luoghi, per lo più dimenticati da media e autorità, e parlato con i sopravvissuti.
Nella zona il sisma di 6,3 gradi Richter ha completamente cancellato 30 villaggi e spazzato via 40mila case.
Ganesha è uno studente universitario di Jember, ma i suoi genitori sono originari di Wedi, dove è accorso dopo il disastro: "Il danno è incommensurabile, dopo aver visto la situazione sono rimasto senza parole". "La gente continua è spossata dall'insicurezza e la totale mancanza di qualsiasi cosa rende impossibile cominciare a ricostruirsi una vita".
Mukir, 58 anni, cattolico residente a Gayamharjo di Njali, spiega che "i sopravvissuti sono del tutto dipendenti dalle squadre di aiuti dal punto di vista materiale ed economico". Mentre dà una mano ai suoi vicini nel rimuovere le macerie aggiunge: "Potete vederlo voi stessi, la gente si aiuta vicendevolmente, non possiamo far altro".
L'abitazione della famiglia Soeradjis a Jabung, Gantiwarno, è danneggiata in modo serio. "Dobbiamo ricominciare da zero" dice Agatha, la figlia. "Ci stavamo per svegliare ricorda il padre quando abbiamo sentito il forte terremoto e le mura sono cadute addosso a mia moglie, al momento ricoverata a Solo".
Il terremoto ha portato via anche tutto quello che possedeva la signora Suwito, del villaggio di Jiwo Wetan. "Non ho niente di più di quello che indosso", dice la donna costretta a vivere ai margini della strada principale da Wedi a Bayat, senza neppure una tenda.
Nella totale mancanza di aiuti dal governo la gente continua a cercare sotto le macerie qualcosa da mangiare. Due donne, sui 70 anni di età, si aggirano tra i resti degli edifici crollati in cerca di oggetti di valore. Entrambe sono sporche e sudate, la temperatura è di 39°. Una, la signora Prawiro, non ha altri parenti qui e il suo unico figlio a Surabaya (Java est) non è ancora venuta a trovarla. La signora Yati, invece, è completamente sola.
Intanto aumentano le tendopoli ai margini delle strade, dove i sopravvissuti scelgono di vivere per paura delle scosse che ancora si verificano. Wahyuni, madre di tre figli e originaria di Jabung a Gantiwarno, ammette: "Non abbiamo scelta se non rimanere qui, con il caldo rovente di giorno e il freddo la notte". Scosse di assestamento si registrano ogni giorno; Suliyah, del villaggio di Jagalan, si chiede: "Come si può dormire, se ogni notte sentiamo una scossa? Siamo terrorizzati".
Ma non sono solo le tende ad avere cambiato il paesaggio di queste zone. Per le strade aumentano i mendicanti, soprattutto bambini, fenomeno sconosciuto nella zona. Vengono da più parti dell'Indonesia e molti sono parenti delle vittime. Altrettanto sconosciuto era il traffico automobilistico, che da sette giorni a questa parte, invece, impedisce di spostarsi anche in motorino, come raccontano i locali.
04/04/2006
01/12/2017 08:59