Israele e Palestina si incontrano in Giordania. Dubbi su una ripresa ufficiali dei negoziati
L’incontro si terrà domani ad Amman. Esso è stato voluto dal re giordano e dal Quartetto per il Medio Oriente. Lo scopo è ricreare le condizioni per i futuri colloqui di pace fermi dal 2010 per il rifiuto di Israele a bloccare gli insediamenti. L’opinione di Bernard Sabella, professore all’Università di Betlemme.
Tel Aviv (AsiaNews) – Riprendono ad Amman (Giordania) i colloqui fra Israele e Palestina a oltre un anno dalla fine dei negoziati ufficiali fermi dal settembre 2010, dopo il no di Tel Aviv a bloccare gli insediamenti dei coloni. Saeb Erekat, negoziatore della Palestina, e Isaac Molho, inviato del Premier israeliano Netanyau si incontreranno domani nella capitale giordana. L’incontro è sostenuto da Abdullah II, re di Giordania e dal Quartetto per il Medio oriente - Russia, Stati Uniti, Onu e Unione Europea – per trovare un’intesa fra le parti tale da consentire la ripresa del dialogo. Tuttavia, fonti ufficiali israeliane e palestinesi hanno minimizzato le possibilità di negoziati nel breve periodo. Oggi, Erekat ha sottolineato che i dialoghi riprenderanno solo se Israele fermerà gli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Il governo israeliano ha risposto dicendo che non vuole precondizioni al dialogo.
A complicare la ripresa dei negoziati, vi sono anche i tentativi di riconciliazione fra Hamas e Fatah, da sempre osteggiati dallo Stato di Israele. ieri sera, Nabil Shaath, membro del direttivo del partito di al-Fatah, e' giunto nella Striscia di Gaza per incontrare i capi di Hamas e proseguire le trattative.
Secondo Bernard Sabella, palestinese e docente all’Università pontificia di Betlemme, “l’incontro di domani è buon tentativo per far ripartire i negoziati fra israeliani e palestinesi”. Egli sottolinea che l’apertura o meno del dialogo è però in mano al governo israeliano: “Finché lo Stato di Israele non si impegnerà a fermare le colonie e le demolizioni nei territori palestinesi volute dall’ala conservatrice, dubito che vi saranno degli sviluppi”. “Molti politici – aggiunge – continuano a considerare la Palestina come territorio dello Stato di Israele e ciò sbilancia a favore di Tel Aviv qualsiasi tentativo di negoziazione”.
Sabella guarda però con speranza ai movimenti israeliani che contestano gli insediamenti e la continuazione del muro di confine. “Questi gruppi – afferma – sostengono che la costruzione del muro e il controllo militare dei territori ha reso i palestinesi cittadini di serie B e premono affinché il governo cambi posizione”. “A tutt’oggi – afferma – nessuno è più interessato al processo di pace. Il governo israeliano ha pensato solo a risolvere i suoi problemi politici interni e non a ripensare una strategia di dialogo. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, che nei prossimi mesi dovranno affrontare la campagna elettorale. Tuttavia il gesto della Giordania è un segno di speranza per il futuro”. (S.C.)
A complicare la ripresa dei negoziati, vi sono anche i tentativi di riconciliazione fra Hamas e Fatah, da sempre osteggiati dallo Stato di Israele. ieri sera, Nabil Shaath, membro del direttivo del partito di al-Fatah, e' giunto nella Striscia di Gaza per incontrare i capi di Hamas e proseguire le trattative.
Secondo Bernard Sabella, palestinese e docente all’Università pontificia di Betlemme, “l’incontro di domani è buon tentativo per far ripartire i negoziati fra israeliani e palestinesi”. Egli sottolinea che l’apertura o meno del dialogo è però in mano al governo israeliano: “Finché lo Stato di Israele non si impegnerà a fermare le colonie e le demolizioni nei territori palestinesi volute dall’ala conservatrice, dubito che vi saranno degli sviluppi”. “Molti politici – aggiunge – continuano a considerare la Palestina come territorio dello Stato di Israele e ciò sbilancia a favore di Tel Aviv qualsiasi tentativo di negoziazione”.
Sabella guarda però con speranza ai movimenti israeliani che contestano gli insediamenti e la continuazione del muro di confine. “Questi gruppi – afferma – sostengono che la costruzione del muro e il controllo militare dei territori ha reso i palestinesi cittadini di serie B e premono affinché il governo cambi posizione”. “A tutt’oggi – afferma – nessuno è più interessato al processo di pace. Il governo israeliano ha pensato solo a risolvere i suoi problemi politici interni e non a ripensare una strategia di dialogo. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, che nei prossimi mesi dovranno affrontare la campagna elettorale. Tuttavia il gesto della Giordania è un segno di speranza per il futuro”. (S.C.)
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