Israele-Palestina: il futuro buio e la visita del papa
Tel Aviv (AsiaNews) – Verso la crisi di Gaza, il sentimento che domina in Israele oggi è quello di un déjà vu: una provocazione intollerabile proveniente da un confine ostile e da un’organizzazione terrorista; un trionfale e sovrabbondante contrattacco della forza aerea israeliana; un’insopprimibile rappresaglia nemica contro obbiettivi civili in Israele; l’ondata crescente di proteste nel mondo arabo e di preoccupazioni internazionali; l’indulgenza degli Stati Uniti; la retorica critica dell’Europa; la crescente incertezza in Israele su come concludere questa operazione più o meno di successo; lungo dibattito sul “se”, “come”, “a che livello” lanciare rischiosissime operazioni di terra… e infine - se ce ne sono - speranze e piani di pace che affondano grazie agli ostacoli posti con intelligenza dagli estremisti avversari, rafforzati dal ritornello degli estremisti nostrani… tensioni crescenti nella minoranza palestinese in Israele.
Sembra di rivedere un film già visto…
La guerra di Israele con Hamas negli ultimi giorni del 2008 ricorda così da vicino la guerra contro gli Hizballah nel 2006. Anche se vi sono alcune differenze essenziali.
L’attacco del 12 luglio 2006 da parte di Hizballah sul territorio israeliano era un’aggressione terrorista “allo stato puro”, al di fuori di ogni contesto. L’Onu aveva già documentato il ritiro di Israele da tutto il territorio libanese. Invece, i missili e i mortai di Hamas su territorio israeliano sono un altro orribile capitolo di un conflitto nazionale in atto da tempo. Ciò non è una circostanza attenuante (non vi può essere alcuna scusa per il terrorismo, mai), ma significa che alla fine c’è la possibilità di una soluzione definitiva, una pace fra Israele e la Palestina (più precisamente, fra Israele e l’Olp, non Hamas). Tale pace potrebbe fermare o far sbiadire il sostegno popolare che permette ad Hamas di governare la Striscia di Gaza, ponendo serie minacce anche alla West Bank.
Purtroppo, e va detto con tristezza, non sembra che si dialoghi troppo di queste prospettive. I discorsi pubblici parlano molto spesso di “gestire il conflitto”, piuttosto che “risolvere il conflitto”. Le speranze dei più seri leader civili e militari in Israele – e altrove – sembrano concentrate a raggiungere un’altra – ovviamente temporanea – “tregua” con Hamas, invece che cambiare totalmente la situazione presente; si cerca di ristabilire “le regole del gioco”, piuttosto cìdi cambiare “il gioco” stesso.
Tutto ciò è veramente penoso.
Ritornare alla proposta della Lega Araba
È ovvio, per ora Israele deve fare quel che deve fare (ma cosa esattamente?) per fermare gli attacchi quotidiani dei terroristi fanatici verso le città e i villaggi del sud. E dopo? L’ironia amara della situazione è che le basi per costruire la pace sono già presenti, se si facessero delle scelte fondamentali. L’iniziativa di pace della Lega Araba della primavera 2002, confermata di continuo fino ad oggi, può rafforzare in modo potente le basi della Conferenza di pace di Madrid del 1991 che, riconvocata o lanciata di nuovo, potrebbe mettere insieme la “scelta strategica” della Siria a un trattato di pace con Israele e l’accettazione della pace con Israele espressa da tanto tempo dall’Olp. Ciò porterebbe a edificare un nuovo Medio Oriente, un’area sicura e pacifica che isolerebbe il regime estremista in Iran e contribuirebbe a tenere lontano l' “internazionale terrorista” simbolizzato da Al Qaeda.
Finché non sarà adottata un pista simile e perseguita con vigore fino alla conclusione, le previsioni sono piuttosto buie. E anche se può succedere di tutto (perfino qualcosa di buono), l’osservatore che guarda i mesi a venire è preso da cattivi presentimenti.
Il sanguinoso conflitto di oggi lungo il confine Israele-Gaza potrà finire in un prossimo futuro, giungendo a una qualche calma. Speriamo in Dio che fino ad allora non vi siano ancor più morti e distruzioni. Ma poi, il 9 gennaio Mahmoud Abbas (“Abou-Mazen”), concluderà il suo periodo come presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Egli afferma di poter stare ancora in carica in modo legale almeno fino a che non si diano nuove elezioni: quando? E come, dato che Gaza, con i suoi 1,5 milioni di abitanti somiglia sempre di più a una Somalia? In più, molti palestinesi non sono d’accordo con lui e Hamas, anche nella West Bank, minaccia di togliere ogni legittimità al suo ruolo dopo la scadenza. Cosa significa questo sul terreno? Nessuno lo sa.
Il 10 febbraio Israele terrà le elezioni. I tre maggiori partiti (Kadimah, Labour, Likud) si rassomigliano perche tutti e tre mancano di una decisa, ampia visione su una pace della regione e danno per scontato che il conflitto continuerà su ogni fronte. L’unico vero leader nazionale con una tale visione (anche se imperfetta), il premier Ehud Olmert, dovrà abbandonare la ribalta, essendo accusato di spicciola corruzione personale in fasi precedenti della sua carriera politica. È probabile che il nuovo governo sia guidato dal Likud insieme con i partiti nazionalisti dell’estrema destra e quelli fondamentalisti: uno scenario da incubo per gli Israeliani del centro-sinistra. Ma ancora, nessuno lo sa ed è impossibile fare previsioni…
La visita di Benedetto XVI
Per i cattolici e tanti altri in Israele, sorge spontanea la domanda se papa Benedetto XVI avrà la possibilità di compiere il suo tanto desiderato viaggio in Terra Santa per il prossimo maggio. Il viaggio è stato annunciato dal Patriarca latino di Gerusalemme, ma non confermato dal Vaticano.
Rappresentanti vaticani hanno spesso sottolineato che il pellegrinaggio papale dipenderà dall’esservi o no le giuste “condizioni”, ossia la situazione sul terreno. Per adesso, secondo chi scrive, un fattore decisivo potrebbe essere la situazione di Betlemme nel contesto più globale della West Bank. Ma potrebbe essere anche Gerusalemme, dove in questi giorni di conflitto a Gaza sono avvenuti violenti scontri fra palestinesi residenti e forze israeliane di sicurezza. Meno decisiva, forse, potrà essere la situazione “politica”. Discutendo con giornalisti e altre persone le prospettive di una possibile visita papale “allo studio”, rappresentanti vaticani hanno sottolineato da subito che il Santo Padre vuole rispondere anzitutto all’invito della gerarchia cattolica e solo in seconda battuta a quello del governo d’Israele e dell’Autorità palestinese.
Eppure, forse proprio in un momento di conflitto, amarezza e disperazione, la presenza – anche breve – e il messaggio del Vicario del Principe di Pace potrebbe essere la cosa giusta al momento giusto. Del resto, nell’82, papa Giovanni Paolo II non decise con coraggio di visitare la Gran Bretagna e l’Argentina al tempo del conflitto delle Falklands? Ma, come è ovvio, spetta solo al pontefice l’ultima valutazione e decisione.
29/03/2024 10:58
25/06/2010