Islamabad “usa il terrorismo contro le minoranze”
Roma (AsiaNews) – La guerra al terrorismo e l’identità islamica del Pakistan “sono due potenti scuse con cui il governo del Paese si oppone all’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e delle altre norme che discriminano i non musulmani. Ma i pronunciamenti dell’Unione europea e quelli di Washington sull’argomento ci fanno capire che non siamo soli nella nostra lotta”. Lo dice ad AsiaNews Peter Jacob, il segretario generale della Commissione episcopale pakistana giustizia e pace, in visita in Europa.
Le leggi di cui parla sono la legge sulla blasfemia, che punisce anche con la morte chi dissacra Maometto e il Corano, e le Ordinanze Hudood, una serie di norme che impone alla popolazione diversi comportamenti in linea con gli insegnamenti religiosi. La legge sulla blasfemia è in realtà il peggior strumento di repressione religiosa in Pakistan: secondo i dati di Giustizia e pace, dal 1986 all’agosto del 2009 almeno 964 persone sono state incriminate per aver profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto. Fra queste, 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e altri 10 di altre religioni. Essa costituisce anche un pretesto per attacchi, vendette personali o omicidi extra-giudiziali: 33 in tutto, compiuti da singoli o folle inferocite.
Dottor Jacob, qual è lo scopo della visita in Europa?
Siamo appena tornati da Ginevra, dove abbiamo partecipato al Pakistan Support Group: si tratta di una rete di gruppi internazionali che opera sotto l’egida delle Nazioni Unite. Ci incontriamo una volta l’anno per discutere dei problemi che affliggono il nostro Paese: questa volta, i punti principali erano le leggi di discriminazione religiosa e il problema dell’educazione, sempre più interconnessa all’estremismo. La nuova legge sulla scuola è sostanzialmente identica alla vecchia, e discrimina i non musulmani, mettendo nelle lezioni e nei libri di testo dei messaggi sbagliati e pericolosi.
Per quanto riguarda le leggi religiose, si notano dei cambiamenti da parte del governo?
La nostra è una democrazia parlamentare, ed è il primo ministro Gilani a occuparsi di queste cose. I parlamentari sono molto spaventati dalla questione religiosa, e le lobby estremiste che spingono per mantenerle in vigore lavorano con molta forza. Non credo possa cambiare molto, in breve tempo: sono leggi che richiedono tempo per essere cambiate.
Ma il Pakistan ha, sulla carta, una Costituzione laica. Cosa può fare la comunità internazionale per aiutarvi?
Le recenti risoluzioni espresse dall’Unione europea e diverse dichiarazioni da parte dell’amministrazione americana ci fanno capire che il mondo segue con molta attenzione la questione delle leggi discriminatorie. Ma fare pressione sul nostro governo perché faccia qualcosa di concreto non è molto facile, perché Islamabad ha una serie di scuse per mantenere la propria posizione. Da una parte c’è la lotta al terrorismo, che impone di mantenere nel Paese lo stato di emergenza e, di conseguenza, non fare nulla. Dall’altra parte c’è la questione dell’identità pakistana: pur avendo Costituzione e leggi laiche, i politici di parte spingono per mantenere la situazione così com’è in nome dell’islam.
Cosa fa la Chiesa cattolica in questa battaglia?
Noi cerchiamo di far sentire la nostra voce in ogni modo, soprattutto nei forum internazionali. Fortunatamente, questa battaglia contro la discriminazione è condivisa da molti settori della società civile pakistana. Noi speriamo che prima o poi arrivi il giorno in cui anche il governo capisca l’inutilità e la crudeltà di queste leggi, e faccia qualcosa per migliorare la situazione.
10/04/2015
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