Islamabad, una festa pre-natalizia per i bambini del “ghetto cristiano”
di Jibran Khan
La Masihi Foundation ha organizzato una giornata di preghiera e di svago, con giochi e dolciumi. Presente anche un'attivista per i diritti umani musulmana, che chiede maggiore “integrazione” per le minoranze nella comunità pakistana. Sacerdote cattolico sottolinea l’importanza dell’istruzione come mezzo di riscatto sociale.
Islamabad (AsiaNews) – I bambini cristiani della “Colonia francese” a Islamabad – una sorta di ghetto dove vive la minoranze religiosa in condizioni di emarginazione e miseria – hanno potuto godere di una piccola anticipazione del Natale. Ieri la Masihi Foundation ha organizzato una festa, con consegna di doni agli studenti che frequentano la locale scuola, insieme a momenti di svago e gioco in comune, alla quale ha partecipato anche un'attivista per i diritti umani musulmana, che ha distribuito dolci ai presenti. L’istituto educativo gestito dalla fondazione pakistana che lotta per i diritti delle minoranze, inaugurato nei mesi scorsi dal vescovo della capitale, ospita molti bambini del ghetto ed è un elemento di speranza e di riscatto sociale per molte famiglie cristiane, che chiedono un futuro migliore per i figli.
Nel tardo pomeriggio di ieri i bambini della comunità, vestiti a festa e accompagnati dai genitori, si sono riuniti nella sede al centro della “colonia francese” per partecipare a questa speciale celebrazione “natalizia”. P. Anwar Patras ha guidato la preghiera iniziale e ha sottolineato, riferendosi alla scuola aperta nel “ghetto”, l’importanza fondamentale dell’educazione per un riscatto sociale. “Nessun essere umano – ha spiegato il sacerdote – può sopravvivere senza l’istruzione”, che rappresenta un “bene primario” come il cibo, i vestiti e un riparo. Perché la scuola non è solo un luogo in cui si studia e si impara, ma è altrettanto un posto in cui “si incontrano amici e si interagisce con loro e gli insegnanti”. E conclude: “l’istruzione vi preparerà per una leadership saggia”, augurandosi un futuro migliore per le nuove generazioni di cristiani in Pakistan.
Gli abitanti della “Colonia francese” svolgono mansioni umili e mal retribuite, almeno quanti hanno un lavoro. Fra questi, la maggioranza è alle dipendenze dell’amministrazione comunale del distretto della capitale, Islamabad, per lavori di bassa manovalanza. Come Gulfam Masih, addetto alla pulizia delle strade: egli, confida ad AsiaNews, non vuole per i figli un lavoro misero come il suo e “ringrazio Dio per l’opportunità che hanno di studiare”. Il padre è felice di partecipare assieme al figlio alla celebrazione “pre-natalizia” e conferma che i bambini “non vedono l’ora” che arrivi la festa. Alishba John, un bambino che studia nella scuola cristiana, aggiunge che “la parte più bella sono i doni, i vestiti nuovi, l’incontro con gli amici e i giochi in comune”.
Alla giornata di festa organizzata ieri ha partecipato anche una leader musulmana, Naveen Khan, attivista per i diritti umani a Islamabad, che ha distribuito i dolci di Natale ai bambini assieme a p. Patras. “Seguo da vicino le persecuzioni contro le minoranze in Pakistan – confida l’attivista musulmana ad AsiaNews – e sono felicissima all’idea di essere qui fra bambini considerati alla stregua di intoccabili”. Queste persone, aggiunge, sono esseri umani anche se vengono perseguitate o emarginate dal resto della comunità. “Trascorrerò il Natale con questi bambini – conclude – e dirò al mondo che questa è gente di pace, che vuole essere parte integrante della società”.
Con i suoi tre milioni di fedeli in rappresentanza dell’1,6% della popolazione, i cristiani in Pakistan sono da tempo vittima di emarginazioni e violenze, acuite negli ultimi 30 anni con la progressiva “islamizzazione” del Paese avviata dal generale Zia-ul-Haq nella seconda metà degli anni ‘80. Gran parte degli esponenti della minoranza religiosa sono originari delle aree rurali; quando giungono in città, essi sono costretti a vivere in ghetti o “colonie” e a svolgere mestieri umili nel campo sanitario o delle pulizie. E come i fuori casta indiani, sono considerati alla stregua di “intoccabili”.
Tra i vari ghetti cristiani, vi è la “Colonia francese” nel cuore della capitale federale del Pakistan. Essa deriva il proprio nome dalla vecchia ambasciata di Parigi, che sorgeva un tempo nella zona. Al suo interno vi sono 600 abitazioni, circoscritte da un muro di cinta. All’area si accede tramite un ingresso principale e tre o quattro minori – ma è raro vengano usati – situati dalla parte opposta del campo. Fra i motivi che hanno portato alla realizzazione della cinta la necessità – come spiega un musulmano della zona – che “ricchi e nobili” non vedano “il ghetto cristiano”. L’appello lanciato alle autorità ha determinato la costruzione del muro.
Nel tardo pomeriggio di ieri i bambini della comunità, vestiti a festa e accompagnati dai genitori, si sono riuniti nella sede al centro della “colonia francese” per partecipare a questa speciale celebrazione “natalizia”. P. Anwar Patras ha guidato la preghiera iniziale e ha sottolineato, riferendosi alla scuola aperta nel “ghetto”, l’importanza fondamentale dell’educazione per un riscatto sociale. “Nessun essere umano – ha spiegato il sacerdote – può sopravvivere senza l’istruzione”, che rappresenta un “bene primario” come il cibo, i vestiti e un riparo. Perché la scuola non è solo un luogo in cui si studia e si impara, ma è altrettanto un posto in cui “si incontrano amici e si interagisce con loro e gli insegnanti”. E conclude: “l’istruzione vi preparerà per una leadership saggia”, augurandosi un futuro migliore per le nuove generazioni di cristiani in Pakistan.
Gli abitanti della “Colonia francese” svolgono mansioni umili e mal retribuite, almeno quanti hanno un lavoro. Fra questi, la maggioranza è alle dipendenze dell’amministrazione comunale del distretto della capitale, Islamabad, per lavori di bassa manovalanza. Come Gulfam Masih, addetto alla pulizia delle strade: egli, confida ad AsiaNews, non vuole per i figli un lavoro misero come il suo e “ringrazio Dio per l’opportunità che hanno di studiare”. Il padre è felice di partecipare assieme al figlio alla celebrazione “pre-natalizia” e conferma che i bambini “non vedono l’ora” che arrivi la festa. Alishba John, un bambino che studia nella scuola cristiana, aggiunge che “la parte più bella sono i doni, i vestiti nuovi, l’incontro con gli amici e i giochi in comune”.
Alla giornata di festa organizzata ieri ha partecipato anche una leader musulmana, Naveen Khan, attivista per i diritti umani a Islamabad, che ha distribuito i dolci di Natale ai bambini assieme a p. Patras. “Seguo da vicino le persecuzioni contro le minoranze in Pakistan – confida l’attivista musulmana ad AsiaNews – e sono felicissima all’idea di essere qui fra bambini considerati alla stregua di intoccabili”. Queste persone, aggiunge, sono esseri umani anche se vengono perseguitate o emarginate dal resto della comunità. “Trascorrerò il Natale con questi bambini – conclude – e dirò al mondo che questa è gente di pace, che vuole essere parte integrante della società”.
Con i suoi tre milioni di fedeli in rappresentanza dell’1,6% della popolazione, i cristiani in Pakistan sono da tempo vittima di emarginazioni e violenze, acuite negli ultimi 30 anni con la progressiva “islamizzazione” del Paese avviata dal generale Zia-ul-Haq nella seconda metà degli anni ‘80. Gran parte degli esponenti della minoranza religiosa sono originari delle aree rurali; quando giungono in città, essi sono costretti a vivere in ghetti o “colonie” e a svolgere mestieri umili nel campo sanitario o delle pulizie. E come i fuori casta indiani, sono considerati alla stregua di “intoccabili”.
Tra i vari ghetti cristiani, vi è la “Colonia francese” nel cuore della capitale federale del Pakistan. Essa deriva il proprio nome dalla vecchia ambasciata di Parigi, che sorgeva un tempo nella zona. Al suo interno vi sono 600 abitazioni, circoscritte da un muro di cinta. All’area si accede tramite un ingresso principale e tre o quattro minori – ma è raro vengano usati – situati dalla parte opposta del campo. Fra i motivi che hanno portato alla realizzazione della cinta la necessità – come spiega un musulmano della zona – che “ricchi e nobili” non vedano “il ghetto cristiano”. L’appello lanciato alle autorità ha determinato la costruzione del muro.
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