10/01/2008, 00.00
CINA
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Influenza aviaria nel Jiangsu: contagio diretto da un ragazzo al padre

Il figlio è morto, ora il padre è in cura. Ma il ministero degli Esteri rassicura che non ci sono prove di una mutazione del virus che lo renda trasmissibile tra esseri umani. Con il più grande allevamento d’uccelli mondiale e milioni di pollai domestici, la Cina è un’incubatrice ideale del morbo.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Un giovane di 24 anni morto a dicembre nello Jiangsu per influenza aviaria, ha forse trasmesso il morbo a suo padre. Ma gistudi non confermano ancora una mutazione del virus che lo renda trasmissibile da uomo a uomo, come una comune influenza.

Mao Qunan, portavoce del ministro della Sanità, ha confermato oggi in una conferenza stampa che  nel Jiangsu “c’è stato  un contagio per contatto”, seppure “non c’è una dimostrazione biologica di un contagio intraumano”. Comunque è stato accertato che il genitore, che si è ammalato poco prima della morte del figlio e ora è in cura intensiva, non ha avuto contatti con uccelli malati o morti. Peraltro non è ancora noto come sia stato contagiato il ragazzo, che pure non ha avuto contatti con uccelli infetti.

Finora il virus H5N1 è stato trasmesso alle persone da uccelli malati e questo ha consentito di limitare la malattia. Si teme che il virus possa mutare e diventare trasmissibile tra esseri umani, con il rischio di una pandemia. Già in precedenza in Asia ci sono stati casi di sospetti contagi diretti tra membri della stessa famiglia.

Con il maggior allevamento avicolo del mondo e milioni di pollai di cortile, la Cina è al centro della lotta contro l’influenza aviaria e ha vaccinato milioni di polli. Finora ha avuto 27 malati, con 17 morti, ma si teme che il numero sia molto maggiore e che in parecchi casi la malattia non sia stata diagnosticata. Proprio ieri Pechino ha detto che “è sotto controllo” l’ultima epidemia tra gli uccelli, esplosa il 29 dicembre a Turpan nello Xinjiang. Almeno 35mila polli sono stati abbattuti, dopo che ne erano morti 5mila per malattia. Dalla fine del 2003 il morbo ha ucciso circa 200 persone, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, quasi tutte in Asia.

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