11/02/2014, 00.00
SINGAPORE - INDIA
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Infermiera cristiana: Oltre la professionalità il malato merita compassione, rispetto e amore

di Amy Lim
La testimonianza di Amy Lim, cristiana di Singapore che fornisce cure palliative ai malati terminali. Prendersi cura di chi sta male "è una profonda vocazione di Dio", ma spesso si rischia di superare il confine medico-paziente. Tuttavia, è importante "crescere nella propria genuinità e nella comprensione del dolore e della sofferenza del paziente, più che offrire solo competenza medica".

Singapore (AsiaNews) - "Ogni malato deve essere servito come serviremmo nostro Signore Gesù Cristo". È questa convinzione profonda che anima la vocazione di Amy Lim, infermiera cristiana di Singapore specializzata nell'assistenza dei malati terminali. Oggi si celebra la XXII Giornata mondiale del Malato, per la quale papa Francesco ha scelto come tema "Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli»" (1 Gv 3,16). Il prossimo giugno Amy servirà come volontaria al Nirmal Hriday, la prima casa per malati e moribondi fondata da Madre Teresa a Calcutta. Ad AsiaNews racconta cosa significa occuparsi di terapie palliative, soprattutto per le molte difficoltà fisiche ed emotive che si possono incontrare. "Nel perseguire cure eccellenti - spiega - dobbiamo tenere sempre a mente che ogni uomo e donna ha un valore, e merita non solo le nostre capacità, ma la nostra amicizia e la nostra umanità". Di seguito la riflessione di Amy Lim. (Traduzione a cura di AsiaNews)

Il nostro prezioso papa Francesco è molto gentile nel riconoscere il lavoro degli operatori sanitari! È molto incoraggiante ricevere un simile ringraziamento da una persona che occupa una posizione così importante. Sono sicura che le sue parole spingeranno chi svolge questo lavoro a fare di più, e a riflettere con profondità su questo prezioso invito a servire i malati. Noi assistenti sanitari spesso ci consumiamo nella compassione, e un simile apprezzamento da parte di un papa significa molto per noi. La sua gratitudine ci ispirerà [a donare] con tutto il nostro cuore e la nostra anima calore e tenerezza per la cura dei malati.

Accudire il malato è una profonda vocazione di Dio, una chiamata molto intima e privilegiata. Non abbiamo bisogno di cercare persone da servire, i malati e i bisognosi sono proprio dinanzi a noi. Penso che gli infermieri siano le persone più benedette al mondo e quello che offriamo altro non è che ciò che spetta ai malati in nome dell'umanità. Ogni malato deve essere servito come serviremmo nostro Signore Gesù Cristo. Merita la nostra compassione e il nostro rispetto, senza guardare al loro passato.

I medici palliativi concordano sul fatto che dobbiamo essere teneri, amorevoli ed empatici nei confronti dei nostri malati terminali. Le cure palliative, l'unione indiscutibile di scienza e arte  trasmessa dalle mani di clinici esperti e compassionevoli, mira ad alleviare e confortare in ogni momenti chi vive gli ultimi momenti della sua vita. Tuttavia, ho lottato con una delle questioni più delicate delle cure palliative professionali. Quanto dovrei lasciarmi coinvolgere dalla persona di cui mi sto prendendo cura e dalla sua famiglia? Colleghi e amici hanno osservato che la mia attenzione è "eccessiva", che "vizio il paziente"; altri mi hanno richiamato, dicendo che le mie cure oltrepassano la terapia professionale. Apprezzo davvero simili osservazioni, frutto dell'amore e della preoccupazione verso di me. Questo mi ha resa più consapevole e ho riflettuto sul mio approccio con i pazienti e i loro cari.

In effetti, non esiste davvero un insegnamento standard su "quanto lontano si può andare" nell'amore professionale, e anzi con ogni probabilità un'infermiera lavorerà in modo diverso con persone diverse, in tempi diversi. A volte la nostra divisa ci tiene a distanza di sicurezza dai nostri pazienti, in modo che i nostri incontri siano quelli tra professionista e cliente, non tra esseri umani fragili come tutti noi siamo. Spesso mi chiedo se sono colpevole, in modo inconscio, di negare ai miei pazienti l'unica cosa che desiderano, quel dono che so dare con facilità e libertà: il mio calore umano.

L'amore, soprattutto nel contesto delle case per malati terminali, può essere una questione molto pratica e terrena. Penso a una mia paziente, a cui avevano diagnosticato un cancro alla gengiva. Era sfigurata in modo orribile e il tumore emanava un odore tremendo. Io non sono immune all'odore di carne in decomposizione, e come tutti desideravo sfuggirle per andare dove l'aria era migliore. Avrei voluto ritagliarmi un posto un po' più lontano da lei quando parlavamo, senza sentirmi cattiva o colpevole, ma è così che mi sentivo. C'era questa voce dentro di me che mi spingeva a non andare oltre nell'affrontare i suoi sintomi fisici, che erano già difficili da gestire. Tuttavia, il suo disagio emotivo era evidente, sarei stata la più indegna a prendermi cura di lei se avessi ignorato la sua angoscia solo per l'odore terribile e il pessimo ambiente in cui era tenuta.  All'inizio ho pregato per avere il coraggio di entrare in casa sua, ma poi ho capito quello che mi mancava non era coraggio, ma l'amore e la sensibilità verso il suo dolore.

L'essenza delle cure palliative ci chiama a essere vicini al benessere fisico ed emotivo dei nostri pazienti. Se lei poteva amarmi abbastanza da ignorare gli sguardi e le smorfie del mondo intorno quando andò al Giant Store per comprarmi un drink con quel poco che aveva, per offrirmela durante le visite, cosa in lei poteva preoccuparmi e causarmi inutili problemi? In realtà, lei merita il mio rispetto, la mia ammirazione, la mia totale devozione nel curarla e amarla per quello che è. Da allora ho mangiato il cibo preso dalle sue mani nude, senza preoccuparmi che fossero lavate o meno, e sono orgogliosa di dire che ci siamo amate e rispettate in un modo che non aveva mai conosciuto prima. Ogni volta che ci incontriamo ci abbracciamo, senza che lei sapesse che la stanza puzzava per colpa della sua bocca. Ancora più importante, insieme abbiamo scoperto un nuovo rapporto, un nuovo inizio, una nuova forza per sopportare la sua perdita. Insieme abbiamo salvato e fatto tesoro di quel poco di significativo per cui ha senso vivere.

Chi lavora nelle case per malati terminali deve essere molto consapevole del fatto che tutti, per quanto lontani, sono infinitamente preziosi e desiderano essere amati e apprezzati. I moribondi sono persone, esseri umani complessi le cui esigenze sono infinite, fisiche, intellettuali, emotive, spirituali e sociali. Quello che voglio dire è che non dobbiamo preoccuparci tanto di amare il nostro paziente troppo, o in modo troppo poco professionale, ma di sviluppare un certo grado di comprensione del mondo del paziente. Con questa intuizione, la nostra sensibilità verso sofferenza del paziente aumenterà, portandoci con naturalezza ad amare e valorizzare come individui, e facendoci desiderare di dare loro il nostro meglio. In fondo, amare in modo professionale significa diventare sensibile verso il dolore degli altri. Costa molto, ma ripaga più del doppio.

Negli ultimi sei anni da infermiera di cure palliative presso l'HCA Hospice Care, mi vergogno di quanto ho trascurato alcuni miei pazienti, nel non riuscire a dare loro un adeguato sostegno emotivo, nel non considerarli individui preziosi meritevoli non solo della mia professionalità, ma anche del mio amore e del mio calore. Dobbiamo riflettere con serietà sul nostro lavoro con i malati terminali riguardo al modo in cui ci prendiamo cura di loro. Riconoscere i bisogni emotivi e fornire sostegno è importante quanto la competenza medica. Dopo tutto, i nostri sforzi non potranno mai cancellare il loro dolore, la loro perdita, loro sofferenza, la loro paura. Possiamo solo sperare che la nostra presenza infonda valore alla vita, che è ancora così preziosa da dover essere curata e coltivata anche nei suoi ultimi giorni.

Una domanda che spesso riempie la mia mente e il mio cuore è: che cosa è che i nostri pazienti apprezzano di più in noi e nelle nostre visite? Cerchiamo di non preoccuparci di amare al di là della professionalità, più che di crescere nella nostra genuinità e nella nostra comprensione del dolore e della sofferenza del paziente. La mia sfida più grande per ora è di arrivare a conoscere i miei pazienti per quello che sono, comprendere e sentire il dolore, la perdita, la paura, le speranze, e accompagnarli con calore nel loro incerto cammino, ricordando sempre quanto è prezioso ciascuno di loro nella creazione. Nel perseguire cure eccellenti, dobbiamo tenere sempre a mente che ogni uomo e donna ha un valore, e merita non solo le nostre capacità, ma la nostra amicizia e la nostra umanità.

 

(Ha collaborato Nirmala Carvalho) 

 

 

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