17/09/2008, 00.00
INDONESIA
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Indonesia, la sharia dietro la legge anti-pornografia

di Mathias Hariyadi
Minoranze etniche e gruppi religiosi denunciano il tentativo di introdurre la legge islamica. La normativa, poco chiara e passibile di diverse interpretazione, lascia ampio margine ai fondamentalisti per reprimere “costumi e tradizioni popolari” che costituiscono la vera “ricchezza della nazione”.

Jakarta (AsiaNews) – Non si placa il coro di proteste di minoranze religiose e gruppi etnici indonesiani contro la possibile approvazione della “legge contro la pornografia”, meglio nota come Undang-undang Pornografi, Uu App. Essi denunciano che la nuova normativa, al vaglio del Parlamento, chiamato a deciderne l’approvazione il prossimo 23 settembre, mette in serio pericolo “l’unità nazionale”, cancella le differenze “culturali e religiose” annullando il “pluralismo” e favorendo lo “scontro sociale”. Ma ciò che più preoccupa minoranze ed etnie è il pericolo che, dietro la legge sulla pornografia, si celi il tentativo dell’ala più integralista dell’islam locale di introdurre la sharia, la legge islamica.

Le zone in cui si concentrano etnie e gruppi non musulmani sono le isole orientali del Paese, tra le quali: l’isola di Bali a maggioranza indù, le Sulawesi protestanti e cattoliche, le Molucche anch’esse equamente divise fra protestanti e cattolici, la Papua a maggioranza cattolica così come la East Nusa Tenggara (Ntt), il Borneo ripartito fra cattolici e protestanti e altri distretti del Nord Sumatra e del West Nusa Tenggara (Ntb). 

Il timore è che la proposta di legge possa diffondere un clima di “anarchia”, poiché non definisce con precisione cosa possa essere ritenuto “contro la morale” e soprattutto quali siano i “criteri” da adottare per stabilire se “un comportamento o una espressione artistico/culturale” debbano essere censurate. Il capitolo 21 della bozza di legge lascia inoltre “campo libero” nella prevenzione di possibili gesti immorali: “Questo punto è particolarmente pericoloso”, sottolinea Eva Kusuma Sudari, dell’Indonesian Democratic Struggle Party (Pdip), schieramento nazionalista che si è sempre opposto alla legge. “Esso permette di manovrare le persone per promuovere anarchia e conflitti sociali nel Paese”, mentre i gruppi islamici integralisti hanno campo libero nel distruggere locali notturni o luoghi di ritrovo con il pretesto di “preservare la purezza del mese sacro del Ramadan”.

Le maggiori critiche vengono rivolte all’Indonesian Islamic Defender Front (Fpi), reponsabile in passato di gesti violenti e che, grazie alla nuova legge, si sentirebbe autorizzato ad esercitare il ruolo di “polizia morale” e punire eventuali manifestazioni di dissenso o comportamenti contrari all’etica islamica radicale.

Per tutelare il pluralismo e scongiurare l’adozione della sharia, il partito nazionalista (Pdip) insieme allo schieramento cristiano Peace and Prosperous Party e al Democrat Party ha dato vita a una serie di manifestazioni in cui si chiedeva di respingere la proposta di legge. Essa – ribadiscono le minoranze – con il pretesto di stabilire ciò che può essere definito “materiale pornografico”, mira in realtà a promuovere “la rigida osservanza della legge islamica”.

La Sharia colpirebbe non solo dvd, film e spettacoli “osceni” o contro la “morale”, ma finirebbe per censurare manifestazioni e tradizioni che sono radicate in alcune zone dell’Indonesia: nell’isola di Papua, ad esempio, è prassi comune indossare un piccolo pantaloncino che copre le parti intime, mentre le donne hanno il petto scoperto. Gli Asmat, un gruppo tribale, è caratteristico per le sue statue che mostrano nudità, un elemento tipico del loro bagaglio culturale. Infine l’isola di Bali, famosa per il turismo, in cui prendere il sole in bikini, così come bere un alcolico nei locali notturni diverrebbe impossibile.  

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