Indiani nell’edilizia, thai nei campi: la guerra a Gaza traina l’immigrazione in Israele
Dall’inizio del conflitto almeno 16mila lavoratori dall'India per rimpiazzare i blocchi in Cisgiordania e della Striscia. Ingressi destinati ad aumentare grazie a campagne mirate. Nel nord tornano gli agricoltori dalla Thailandia, fra i migranti che hanno pagato di più in termini di vittime e sequestri. Da 165mila a soli 15mila i palestinesi attivi in Israele.
Milano (AsiaNews) - La guerra di Israele contro Hamas a Gaza, in atto da oltre 15 mesi con l’inevitabile striscia di sangue e devastazioni, ha determinato un profondo impatto anche sull’economia e l’occupazione, in particolare fra i lavoratori migranti che sostituiscono sempre più i palestinesi. Secondo le ultime stime, dal 7 ottobre 2023 - giorno dell’attacco del gruppo estremista che ha scatenato la reazione militare dello Stato ebraico - almeno 16mila operai indiani, soprattutto nel settore edile, hanno lasciato il Paese di origine per trasferirsi in Israele. Tuttavia, per gli esperti il numero non sarebbe ancora sufficiente a “coprire” il fabbisogno causato dal blocco dei permessi, che hanno al contempo privato decine di migliaia di palestinesi di un lavoro e prosciugato le fonti di reddito delle famiglie. L’India è la quinta economia al mondo e fra quelle in più rapida crescita, ma fatica a creare un numero sufficiente di posti di lavoro interni per milioni di persone. Con il conflitto nella Striscia si è assistito a un ulteriore rafforzamento del reclutamento, attraverso campagne mirate nel settore edile per rimpiazzare i palestinesi sempre più impossibilitati a varcare ogni giorno i confini.
Campagna di reclutamento
Samir Khosla, presidente della Dynamic Staffing Services di Delhi, che ha inviato circa 500mila indiani a lavorare in oltre 30 nazioni al mondo, ha finora trasferito più di 3.500 lavoratori in Israele, un nuovo mercato con ulteriori possibilità di ampliamento. L’imprenditore è giunto ad un mese di distanza dall’attacco del 7 ottobre, raccogliendo l’appello delle autorità locali in cerca di lavoratori stranieri nell’edilizia, settore congelato a causa della guerra. “Non conoscevamo il mercato e non vi era ancora una forza lavoro indiana” ha spiegato Khosla, per questo “abbiamo dovuto muoverci e capire le esigenze”. Egli ritiene l’India una “scelta naturale” per Israele considerando le “eccellenti relazioni” fra i due governi, mentre l’obiettivo è di portare fino a 10mila addetti, potendo disporre di un ampio bacino di lavoratori qualificati in tutti i settori.
“In poco tempo, in Israele si può guadagnare molto di più” afferma Suresh Kumar Verma, 39 anni, nativo dell’Uttar Pradesh e impiegato in un cantiere edile a nord di Tel Aviv. I ricercatori israeliani spiegano che il numero di migranti indiani non corrisponde ancora a quello dei palestinesi presenti prima della guerra, e ciò ostacola la crescita complessiva del settore. Secondo Eyal Argov, della Banca centrale, prima dell’attacco di Hamas circa 80mila palestinesi, per lo più provenienti dalla Cisgiordania, erano impiegati nel settore delle costruzioni, insieme a quasi 26mila stranieri. Ora gli stranieri impiegati sono attorno ai 30mila, un dato insufficiente, tanto che l’attività nel settore nell’ultimo trimestre 2024 è del 25% circa al di sotto dei livelli prebellici. Il numero dei lavoratori indiani, aggiunge Argov, è “ancora molto basso” e, pur non creando al momento una “carenza di alloggi”, potrebbe però determinare “ritardi per nuove abitazioni”. “Israele - conclude l’esperto - ha una popolazione in crescita [anche se, nell’ultimo anno, si è registrato un rallentamento e, di pari passo, un picco nelle migrazioni, ndr], che aumenta del 2% all’anno e questo ritardo potrebbe portare a carenze strutturali in futuro”.
Thai al fronte nord
Nel 2023 il 17% dei 137mila circa cittadini stranieri con un permesso di lavoro in Israele erano indiani, seguiti da vicino da vicino da migranti provenienti da Filippine e Thailandia, entrambe al 16%. Al contempo, si registra una crescita significativa dei lavori cinesi che, fra il 2022 e il 2023, ha registrato un aumento pari al 15%. Fra i migranti più esposti al conflitto vi sono i contadini thai impiegati nel nord, nella zona di frontiera col Libano considerata off-limits per gli stessi israeliani a causa delle guerra - ora congelata dopo la firma di un fragile cessate il fuoco - con Hezbollah. A dispetto della tensione, e col permesso accordato dall’esercito, i proprietari delle fattorie e i lavoratori stranieri continuano a lavorare nella zona, curando i campi e il bestiame.
Sebbene negli ultimi anni l’agricoltura sia progressivamente diminuita in termini percentuali di Pil per Israele, il Paese resta famoso per i prodotti della terra che vengono esportati fra gli altri negli Stati Uniti e Unione europea, con un volume di affari di 2,5 miliardi di dollari nel 2021. Ubon Namsan, originario della Thailandia, dice si essersi abituato al sibilo che precedeva l’arrivo di razzi dal Paese dei cedri, la cui frontiera si trova pochi chilometri a nord del frutteto di kiwi di cui setaccia i filari per cogliere i frutti maturi. Come la stragrande maggioranza dei 30mila braccianti agricoli stranieri in Israele, il 28enne ha imparato a rifugiarsi nei seminterrati di un adiacente capannone agricolo per ripararsi dalle bombe.
A compensare i rischi, un salario che è tre volte maggiore rispetto a quanto potrebbe percepire nel Paese di origine e che si attesta attorno ai 1500 dollari mensili in media. A questi si aggiungono ulteriori 80 dollari come incentivo per il fatto di operare in quella che Israele ha classificato come zona militare, in un contesto che resta di guerra e tensione. Del resto anche gli stranieri hanno versato il loro tributo di sangue: fra le 1200 persone uccise il 7 ottobre 2023 nell’attacco di Hamas vi erano almeno 66 lavoratori migranti, la maggior parte dei quali thai. Altre 251 persone sono state prese in ostaggio, tra cui 31 contadini thai - di un paio dei quali la sorte resta incerta - e una badante filippina. Pericoli tuttora presenti, come conferma la morte a ottobre di un bracciante thai vicino al confine nord ucciso da un ordigno esploso al passaggio del trattore, o del proprietario di un’azienda agricola e di quattro contadini thai investiti da razzi di Hezbollah nella città settentrionale di Metula.
Il blocco dei palestinesi
A fronte di un aumento dei lavoratori migranti asiatici si registra il crollo dei palestinesi: secondo uno studio di Statista Research Department, prima del 7 ottobre 2023 circa 165mila persone da Cisgiordania e Gaza lavoravano in modo (più o meno) stabile in israele, la maggior parte dei quali - attorno ai 75mila - pendolari nel settore dell’edilizia. In seguito allo scoppio della guerra il loro numero si è ridotto a soli 15mila, pur a fronte di una progressiva interdipendenza delle economie israeliana e palestinese, soprattutto nei settori agricolo ed edile. Da qui l’accusa di gruppi sindacali e attivisti allo Stato ebraico di aver violato il diritto internazionale (anche) in tema di lavoro, trattenendo stipendi e benefit a quasi 200mila palestinesi. Inoltre, il governo israeliano avrebbe infranto “palesemente” la stessa convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sulla protezione dei salari, gettando i palestinesi in condizioni di estrema povertà. Fra le ragioni il mancato pagamento delle prestazioni eseguite prima dell’inizio del conflitto da parte di lavoratori della Striscia e dalla Cisgiordania, ancora oggi in attesa dei corrispettivi. Secondo stime Ilo, il salario medio giornaliero per i lavoratori palestinesi in Israele era di 79 dollari, con stipendi settimanali fra i 565 e i 700 dollari. Inoltre, la disoccupazione fra i palestinesi ha raggiunto il massimo storico con il dato dell’89% del marzo scorso come riferito dal primo ministro Mohamed Mustafa. Infine, nel tentativo di recuperare gli emolumenti non corrisposti la scorsa settimana movimenti e attivisti hanno presentato una denuncia in tribunale, con scarse probabilità di successo.
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07/11/2023 10:21
31/10/2023 09:48