India: la riforma della scuola mina la libertà di oltre 10mila istituti cattolici
di Nirmala Carvalho
La nuova legge per “l’educazione gratuita e obbligatoria” obbliga gli istituti privati a costituire comitati di controllo che includono rappresentanti dei governi locali. Per La Chiesa indiana la legge va “nella giusta direzione”, ma l’imposizione dei politici mette le scuole “in pericolo di estinzione”.
New Delhi (AsiaNews) - La Chiesa cattolica indiana teme che la nuova legge nazionale sull’educazione approvata dal parlamento rischia di minare la libertà di educazione, portando interferenze della politica nella gestione degli istituti privati.
La legge, varata il 4 agosto, realizza il “Diritto dei bambini all’educazione gratuita e obbligatoria” che l’esecutivo del premier Manmohan Singh aveva inserito nell’agenda dei primi cento giorni di governo. Kapil Sibal, ministro per lo Sviluppo delle risorse umane, ha definito la legge “il segnale di una nuova era”. Per p. Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale Indiana (Cbci), “il governo ha compiuto una scelta importante nella giusta direzione” che ripara “ad un grave ritardo nell’assicurare la scuola a tutti i ragazzi [dai 6 ai 14 anni, ndr]”. Tuttavia al legge include una clausola che allarma la Chiesa indiana.
“La nuova legge - spiega p. Babu ad AsiaNews - include la clausola 21 in cui si afferma che tutti gli istituti che ricevono sovvenzioni dallo Stato devono costituire un comitato amministrativo che segua l’andamento della scuola composto da rappresentanti eletti dell’autorità locale, dei genitori degli alunni e degli insegnanti”. Lo scopo del comitato è quello di far sviluppare un sempre maggior legame tra la comunità locale e la scuola. Il portavoce della Chiesa indiana riconosce la bontà dell’intento, ma non nasconde che esso dia anche motivi di seria preoccupazione per gli oltre 10mila istituti cattolici sparsi nel Paese.
“In primo luogo siamo preoccupati – afferma p. Babu – perché questa clausola offre un’eccessiva possibilità di intervento della politica nelle questioni amministrative. In secondo luogo le istituzioni sino ad oggi hanno lavorato senza intoppi. Il nostro sistema ha funzionato bene con la soddisfazione di tutti ed il direttore della scuola era deciso dal vescovo locale o dal superiore dell’istituto religioso insieme ai rappresentanti dei genitori e degli studenti. Non vediamo dunque un motivo ragionevole per cambiare sistema. In terzo luogo la nostra esperienza ci dice che le scuole pubbliche che hanno leader politici nei loro comitati amministrativi non sono gestite bene”.
Per la Chiesa indiana il rischio molto concreto è che la Clausola 21 danneggi la libertà garantita alle istituzioni cristiane. P. Babu afferma che le scuole “possono essere in pericolo di estinzione e minate dalla presenza di persone mal disposte o anche ostili verso di noi. In alcuni Stati la Chiesa patisce già per problemi con le leadership politiche e questa disposizione potrà solo aggravarli se diventa effettiva”.
La Cbci ha già detto di voler discutere del problema con il ministro per lo Sviluppo delle risorse umane per salvaguardare la libertà ed i diritti garantite dalla Costituzione alle minoranze e “continuare la collaborazione con il governo per un’educazione di qualità ai ragazzi dell’India”.
Le scuole cattoliche, unite a quelle protestanti, forniscono un contributo importante al sistema educativo del Paese, per la maggior parte affidato a istituti privati. P. Babu afferma: “Il 60% dei nostri istituti si trovano in aree rurali e raggiungono i ragazzi più poveri ed emarginati della società che rappresentano il 55% della popolazione scolastica. Nei nostri istituti studiano ragazze [spesso escluse dall’istruzione, ndr] e solo una piccola parte degli alunni è costituita da cristiani, perché la maggioranza sono indù, musulmani o di altre fedi”.
P. Francis Swamy, coordinatore provinciale delle scuole dei gesuiti - che solo in Mumbai hanno una ventina di scuole - ha detto: “La comunità cristiana ha lavorato molto per sviluppare l’educazione. Alcune nostre scuole hanno più di 150 anni e sono molto stimate. Perché dobbiamo avere una interferenza politica nel loro funzionamento?”
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