India, speranze per i diritti dei dalit cristiani
New Delhi (AsiaNews) La Corte suprema dell'India ha deciso venerdì scorso di esaminare una richiesta che mira ad ottenere per i dalit cristiani gli stessi diritti dei "fuori-casta" appartenenti ad altre religioni, per quanto riguarda l'assegnazione di posti di lavoro in ambienti pubblici.
Il procuratore generale Milon Bannerjee ha dichiarato alla Corte di aver chiesto al governo di considerare la questione "in maniera favorevole". La decisione è stata salutata con favore dagli attivisti per i diritti dei dalit: John Dayal, presidente dell'All India Catholic Union, ha affermato ad AsiaNews: "Si tratta di una notizia che ci porta gioia".
Un Decreto presidenziale del 1950 esclude i fuori casta convertiti al cristianesimo dalle quote riservate di posti di lavoro pubblici: la stessa norma che colpisce anche quanti sono diventati musulmani - non vale per quanti sono diventati indù, buddisti o sikh.
Nel Paese la questione sta creando uno scontro istituzionale: il governo ha fatto sapere che ogni emendamento al Decreto presidenziale non soggiace all'autorità della Corte, ma è di carattere legislativo, e quindi di interesse del governo. Tale conflitto non è nuovo in India: nel 2002 la National Democratic Alliance, che ha guidato l'India fino al maggio scorso ed era retta dal Bharatiya Janata Party (BJP), che si rifà all'induismo fondamentalista, aveva rifiutato una richiesta di includere i dalit cristiani nella categoria dei "fuori casta". Lo scorso anno la Corte aveva stabilito che un tribale convertito al cristianesimo poteva invece beneficiare ancora del suo status di "fuori casta". "Bisogna applicare la stessa legge anche per i dalit cristiani" affermava il pronunciamento della Corte. "Le quote di lavoro statale sono disponibili per i dalit indù, buddisti e sikh. Non c'è ragione perché anche ai dalit cristiani non venga accordato lo stesso riconoscimento".
La decisione di venerdì è stata criticata dal BJP: L Ganesan, segretario generale del partito, ha dichiarato che la promessa del procuratore generale Milon Banerjee di riservare quote anche ai dalit cristiani e musulmani è "pericolosa" e che essa può "aprire la strada alla secessione nel Paese".
Interrogato da AsiaNews sulla notizia del pronunciamento della Corte, John Dayal, noto attivista per i diritti dei fuori casta, ha affermato: "Speriamo che la Corte decida di mettere fine a un'ingiustizia epocale contro i dalit cristiani, un'ingiustizia che dura dal 1950".
Secondo Dayal, presidente dell'All India Catholic Union (AICU) e segretario generale dell'All India Christian Council (AICC) sigle che rappresentano milioni di cristiani indiani - se la Corte darà il suo giudizio finale riconoscendo "le inique ingiustizie di un sistema di caste che ha 3000 anni", questa decisione "cambierà anche il sistema di leggi che limita la giustizia sociale ed estromette i dalit cristiani dalla protezione della legge". "Dopo le ingiustizia sofferte in questi ultimi 50 anni" continua Dayal "speriamo che finalmente venga fatta giustizia".
L'attivista cattolico sottolinea che l'AICU, l'AICC, le Chiese del nord India e altri gruppi hanno discusso con leader politici di maggioranza e opposizione di tale argomento, e hanno lanciato una vigorosa campagna politica perché "il governo dia ai dalit cristiani gli stessi diritti oggi accordati ai fuori casta delle maggiori religioni, quali gli indù, i sikh, i buddisti". (NC)