India, Cina e Asean, gli “amici” del regime birmano
Roma (AsiaNews) – Mentre l’Onu, gli Usa, l’Unione Europea si affannano a trovare mezzi per fermare l’escalation di violenza nel Myanmar, i Paesi confinanti sono solo preoccupati che i loro rapporti economici con il regime non subiscano troppe scosse. La Cina ha chiesto oggi alle due “parti” , l’esercito e la folla, di abbassare i toni ed evitare di compiere gesti che possono mettere in crisi “la stabilità e il progresso” del Myanmar.
La preoccupazione per la “stabilità”, unico elemento che garantisca “il progresso” economico e gli scambi, è alla base anche degli interventi dell’Asean (Associazione dei Paesi del sud est asiatico) e dell’India.
Da 10 anni il Myanmar è parte dell’Asean, e questo ha permesso alla dittatura di aprire il suo Paese al turismo e al commercio, ricevendo in cambio un trattamento molto tollerante. L’Asean infatti ha sempre preferito un atteggiamento di “non interferenza” negli affari interni dei membri e nel caso del Myanmar ha addirittura coniato l’espressione “impegno costruttivo”. Questo ha permesso ai Paesi membri dell’Asean di mettere mano alle risorse forestali e al gas naturale, di cui è ricco il Myanmar. In cambio, i Paesi dell’Asean hanno revocato ogni appoggio e ospitalità alle ribellioni etniche contro la giunta. La Thailandia in particolare, grazie alla sua tolleranza verso la giunta e l’intolleranza verso i ribelli, ha un volume di affari ai confini col Myanmar pari a 104, 3 miliardi di bath (circa 2,3 miliardi di euro). Il commercio, cresciuto del 5% dallo scorso anno, vede la Thailandia esportare benzina, attrezzature per la pesca, motocicli, materiale da costruzione in cambio di gas naturale.
Le grandi riserve di gas naturale (circa 2500 miliardi di metri cubi), pari all’1,4% delle riserve mondiali, rendono appetibile la compagnia della giunta, al di là della sanguinosa immagine internazionale. Il Paese, oltretutto, manca di capitali e di infrastrutture per l’estrazione e la diffusione. Questo è il motivo fondamentale per cui l’India continua a mantenere uno stretto rapporto con il governo del Myanmar, fin dagli anni ’90, quando la giunta ha soppresso le elezioni vinte dalla leader democratica Aung San Suu Kyi. A tutt’oggi l’India invia tecnici, ingegneri, esperti e ha perfino il 30% delle azioni in diverse pattaforme di estrazione off-shore.
New Delhi progetta da tempo un gasdotto di 950 chilometri attraverso il Bangladesh, ma finora le difficoltà esistenti con Dhaka hanno convinto Yangon a vendere il gas alla Cina. La spesa prevista per il gasdotto è di 1 miliardo di dollari.
Proprio mentre questa settimana andava rafforzandosi la protesta dei monaci e dei civili a Yangon, Murli Deora, ministro indiano del petrolio, ha visitato la ex capitale e la nuova, Naypydaw, per discutere con la giunta militare nuove occasioni di cooperazione e firmare nuovi contratti di esplorazione in mare.
L’India, conosciuta come la più grande democrazia al mondo, ha subito le critiche di molti attivisti anche a Delhi che chiedevano a Murli Deora di sostenere “non il petrolio, ma la democrazia”.
Per accattivarsi la giunta – e per cercare di far concorrenza alla Cina, anch’essa affamata di energia, anch’essa in buonissimi rapporti con la dittatura militare – l’India offre al Myanmar anche armamenti anti-guerriglia.
Un diplomatico indiano, interrogato ieri sulle vie per influenzare la giunta a non compiere un massacro contro la popolazione, ha dichiarato: “Non possiamo interferire negli affari interni del Paese… E poi, ci sono anche nostri interessi nazionali in gioco”.