In morte del card. Lubomyr Husar, vescovo di Kiev
È stato un grande testimone della fede cattolica e appassionato nel ricercare l’unità con tutti i cristiani. Esule nella Badia di Grottaferrata. L’amicizia con il cardinale Josif Slipyj. Ha gestito il ritorno dei fedeli alla Chiesa greco-cattolica dopo la caduta dell’Urss e ha curato le ferite della persecuzione. Il telegramma di papa Francesco all’arcivescovo Shevchuk, successore di Husar.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Il 31 maggio è scomparso il cardinale Lubomyr Husar, M.S.U., Arcivescovo Maggiore emerito di Kyjv-Halič (Ucraina), leader spirituale della Chiesa greco-cattolica ucraina per ben 15 anni, dal 1996 al 2011. È stato uno dei vescovi più longevi e importanti della Chiesa cattolica “uniate” di Leopoli e Kiev, nel periodo delicatissimo del post-comunismo e dell’edificazione dell’Ucraina moderna.
Nel suo telegramma di cordoglio all’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, successore di Husar sulla cattedra di Kyjv-Halič, papa Francesco ha sottolineato che egli “si adoperò con sollecitudine per la rinascita della Chiesa greco-cattolica ucraina. Ricordo la sua tenace fedeltà a Cristo, nonostante le privazioni e le persecuzioni contro la Chiesa, come anche la sua feconda attività apostolica per favorire l’organizzazione dei fedeli greco-cattolici discendenti dalle famiglie forzatamente trasferite dall’Ucraina occidentale, nonché il suo sforzo di trovare vie sempre nuove di dialogo e collaborazione con le Chiese Ortodosse”.
Papa Francesco ha ben delineato il significato della testimonianza del cardinale Husar. Egli infatti dovette abbandonare il suo paese natale di Leopoli alla fine della guerra, che vide l’Ucraina passare dall’invasione nazista a quella sovietica. Dopo gli studi e la formazione sacerdotale in America, giunse a Roma, dove fu per molti anni Superiore del monastero di Grottaferrata, enclave bizantina rimasta sempre unita al Papa (quindi non “uniate”) dove molti monaci dell’Ucraina tenevano viva la memoria della loro Chiesa, insieme ai confratelli italiani, albanesi e di altre parti del mondo. La Badia di Grottaferrata è sempre stata un santuario dell’unità tra l’Oriente e l’Occidente cristiano, e padre Lubomyr appariva davvero in quegli anni un profeta del martirio che riunisce i credenti, nel secolo più doloroso per la Chiesa dell’Europa orientale.
Husar era un punto di riferimento per tutta la diaspora ucraina, insieme al leggendario cardinale Josif Slipyj, liberato dai lager sovietici durante il Concilio Vaticano II e morto a Roma nel 1984, e al suo successore Myroslav Lubachivsky, di cui lo stesso Husar fu protosincello (vicario generale). Insieme al cardinale Lubachivsky, Husar ritornò in patria dopo la fine del comunismo, e divenne vescovo nel 1996, confermando l’ordinazione ricevuta privatamente già nel 1977 dallo stesso Slipyj. Sostituì il cardinale Lubachivsky alla guida della Chiesa greco-cattolica ucraina, diventando il primo Esarca di Kyjv-Vyshgorod e quindi arcivescovo maggiore di Lviv degli Ucraini, che nel 2004 ha mutato il titolo in Kyjv-Halič. La Chiesa “uniate” ritrovava in quel momento la pienezza della propria storia, iniziata dall’Unione di Brest del 1596.
Egli si trovò a gestire la fase più delicata della rinascita cattolica ucraina, dopo i primi anni Novanta, con la drammatica separazione dalla Russia nel crollo dell’URSS e le polemiche sul ritorno delle Chiese uniate alla propria giurisdizione. La Chiesa greco-cattolica era stata infatti soppressa dallo Pseudo-Sinodo di Leopoli del 1946, organizzato da Stalin e Chruščev con la complicità forzata del Patriarca di Mosca Alessio I, ma i fedeli erano rimasti legati all’unità con Roma, e dopo il 1990 vollero tornare ad essa, senza aspettare accordi o trattative diplomatiche. L’Arcivescovo Husar seppe controllare la situazione con grande saggezza, contenendo le giuste aspirazioni dei propri fedeli nella linea di una vera conversione, e accettando con pazienza e delicatezza ogni minima occasione di confronto e dialogo con i rappresentanti delle varie Chiese ortodosse presenti in Ucraina, e dello stesso Patriarcato di Mosca.
Husar aveva una preparazione e una capacità di comprensione degli avvenimenti molto superiore a tanti altri, in patria e fuori. Più volte ci siamo incontrati in Ucraina e in Russia in occasione di convegni e celebrazioni: sapeva dare a tutti noi, sacerdoti e laici, una parola chiara e forte per illuminare le vie della missione, dell’evangelizzazione e dell’ecumenismo. La sua paterna e stimolante sapienza era riconosciuta anche da tutti gli interlocutori esterni, ecclesiastici e non. Era consapevole che occorreva ancora molto tempo per superare diffidenze e incomprensioni, come purtroppo mostrano gli avvenimenti degli ultimi anni, ma non perse mai la speranza in un futuro di fraternità tra tutti i cristiani, gli europei, gli uomini d’Oriente e d’Occidente.
Nella storia della Chiesa ucraina non sono mancate figure profetiche, dal santo martire Josafat Kuncewicz, martire dell’Unione nel 1623, all’arcivescovo Andrej Szeptyckyj, per più di 40 anni Arcivescovo di Leopoli (1900-1944) e instancabile predicatore dell’unità dei cristiani. Il fratello Klimentyj Szeptyckyj, archimandrita dei monaci studiti ucraini e amministratore dei cattolici in Russia, morì nella famigerata prigione sovietica di Vladimir nel 1951, da dove passò lo stesso cardinale Slipyj prima di essere liberato. Di questi uomini il cardinale Husar fu degno successore ed erede, e la sua morte oggi costituisce un appello a tutti i cristiani dell’Ucraina e del mondo a trovare nella fede le ragioni per vincere le divisioni del mondo, e unirsi sotto la croce di Cristo.
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