In Gujarat, il dialogo prevalga sulle emozioni
Dopo la demolizione di un mausoleo musulmano a Vadodara e le seguenti violenze esplose in città, pubblichiamo stralci della riflessione di un noto attivista per i diritti umani in Gujarat: sulle questioni religiose non farsi guidare dagli istinti, il dialogo ha sempre la priorità.
Vadodara (AsiaNews) La recente demolizione del dargah (mausoleo di un santo sufi, ndr) a Vadodara, Gujarat, da parte di un'amministrazione insensibile, ha letteralmente suscitato un "vespaio". La questione dibattuta è: edifici religiosi illegali possono e devono essere abbattuti se costituiscono un intralcio al traffico e al pubblico in generale?
Il primo maggio, infatti, le autorità di Vadodara hanno demolito il Rashiduddin Chishti dargah, perché costruito su terreno di proprietà statale e perché rapresentava un ostacolo alla circolazione. L'episodio ha dato il via a una protesta della comunità musulmana, a cui la polizia locale ha risposto con le armi. A soffiare sul fuoco hanno contribuito gli estremisti indù con attacchi mirati contro i musulmani. Gli scontri hanno provocato sei morti in tre giorni.
Non bisogna andare lontano per vedere come la religione è stata usata in modo efficace per manipolare la gente al fine di meschini giochi politici. Molte persone individuano l'essenza della loro fede in simboli esteriori: feste, rituali, pratiche, pellegrinaggi, santuari e la superstizione! Spesso, quando questi simboli vengono toccati, il dialogo passa in secondo piano e ci lasciamo guidare solo dall'istinto.
Il recente giudizio della Corte Suprema, che ha sospeso l'ordine dell'Alta Corte del Gujarat volto a demolire tutte le strutture religiose illegali, rappresenta un punto importante. Possiamo permetterci di riaccendere ancora di più la polveriera interreligiosa? Il nucleo della questione è che le autorità di Vadodara e i politici suoi alleati, con la complicità della polizia, erano decisi a distruggere a tutti i costi un dargah radicato nelle tradizioni e nella sincretica cultura indiana. Si ritiene che quel dargah avesse più di 200 anni; era un patrimonio che non doveva essere toccato in nessun modo. Da ogni punto di vista questa demolizione dimostra di essere non solo incostituzionale, ma chiaramente discriminatoria.
È chiaro inoltre che dal 2002, anno del "massacro del Gujarat", le demolizioni in questo Stato riguardano per lo più luoghi religiosi musulmani. Questo approccio discriminatorio è destinato ad avere ripercussioni e ad approfondire il contrasto tra i fedeli delle due maggiori religioni del Gujarat.
Dobbiamo guardare con attenzione all'evolversi di questo dibattito. Le autorità hanno la responsabilità di promuovere e proteggere i beni pubblici. Esse devono vedere le migliaia di luoghi sacri - legali o no - che fioriscono in tutte le città come un'espressione di "sentimenti religiosi". Molti di questi edifici sono costruiti di notte e a volte nascondono altre attività, anche illecite. Questi luoghi rappresentano un pericolo e spesso sono origine di incidenti; ogni amministrazione cittadina deve agire in modo deciso e imparziale per demolire quelli edificati senza permessi.
Per questo, le autorità devono cercare la collaborazione attiva di tutti gli interessati, compresi i cosiddetti "leader religiosi". Quando la questione tende a diventare troppo delicata bisogna intraprendere un dialogo rispettoso, che si spera soddisfi tutte le parti coinvolte.
Inoltre come cittadini dobbiamo realizzare che la religione vera è nell'amore, compassione, giustizia, pace e fratellanza. Tutti noi potremmo prendere esempio dal nostro premio Nobel Rabindranath Tagore, che nel suo Gitanjali scrive: "Smettila di cantare i tuoi inni/di recitare le tue orazioni!/Chi adori in quest'angolo buio/e solitario d'un tempio,/le cui porte sono tutte chiuse?/Apri i tuoi occhi e guarda:/non è qui il tuo Dio./Egli è là dove l'aratore/solca la dura terra, lo spaccapietre/apre una strada./È con loro nel sole e nella pioggia,/la sua veste è coperta di polvere./Levati il manto sacro/e scendi con lui nella polvere.
* direttore di Prashant, Centro gestito dai gesuiti che si occupa di diritti umani, giustizia e pace