Importazioni di petrolio, la grande sete della Cina
Le fonti interne e quelle alternative possono fornire solo una minima parte dell'energia necessaria. Il governo chiede al pubblico un consumo più efficiente.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) - Gli esperti prevedono un aumento vertiginoso dell'importazione di petrolio in Cina, nonostante il maggior sfruttamento di fonti energetiche interne e alternative.
Per sostenere una crescita economica di oltre il 9% annuo, la Cina tenta di assicurarsi giacimenti esteri di petrolio e di gas. Nel tentativo forse disperato di ridurre la dipendenza da fonti estere, il Paese cerca anche di controllare i consumi, aumentare gli impianti idroelettrici e nucleari.
Negli ultimi 6 mesi le compagnie petrolifere statali hanno acquistato partecipazioni in importanti giacimenti, offrendo altissimi prezzi. La Cina vuole, soprattutto, rendersi indipendente dal petrolio del Medio Oriente, che arriva per strade che non controlla. Così, ad agosto la China National Petroleum Corp. (Cnpc) ha acquistato petrolio del confinante Kazakistan per 4,2 miliardi di dollari Usa, che arriverà tramite un oleodotto inaugurato di recente. La Cnooc ha acquistato partecipazioni nei giacimenti nigeriani per 2,3 miliardi e la Cnpc ha investito altri 576 milioni di dollari per giacimenti siriani, acquistati insieme a una ditta indiana. A gennaio Pechino ha concordato con l'India uno scambio di informazioni per evitare una guerra commerciale e favorire interventi congiunti. La fame di energia di Cina, India e altre Nazioni in via di sviluppo, è un'importante causa per l'aumento del prezzo del greggio.
Le necessità energetiche spingono la Cina a fare accordi con Sudan, Iran, Venezuela e altri Stati boicottati da gran parte della comunità internazionale. Washington segue con preoccupazione gli investimenti cinesi in Canada e Stati Uniti, e nel 2005 il Parlamento degli Stati Uniti si è opposto, per ragioni di "sicurezza", alla proposta della cinese Cnooc di acquistare la Unocal Corporation che ha sede a Los Angeles.
"E' una strategia - dice Kevin Norrish, esperto del settore per la Barclays Capital - che abbiamo già visto. Il Giappone ha fatto lo stesso 10 o 15 anni fa, quando molte società hanno comprato risorse naturali all'estero".
Le compagnie petrolifere cinesi hanno iniziato gli investimenti all'estero alla fine degli anni '90, quando la produzione interna non ha più soddisfatto la domanda interna per oli e carburanti (d'automobili) e la richiesta delle industrie per plastica e altri derivati petrolchimici.
Tutto questo non darà mai sicurezza alla Cina. Leo Drollas, capo economico del Centro di studi globali di Londra sull'energia - afferma che il mercato globale delle fonti energetiche consente alle compagnie straniere solo di acquistare quote della produzione per periodi limitati ma non di controllare i giacimenti. In alcune regioni, poi, la situazione politica è incerta e mutevole. La cosa più sicura, secondo Drollas - è stipulare contratti a lungo termine per l'acquisto di petrolio sul mercato libero.
Nel tentativo di diminuire la dipendenza dal petrolio estero, il governo di Pechino sollecita un consumo più oculato ed efficiente e un maggior uso di energia nucleare, eolica, idroelettrica e di altre fonti alternative. E' prevista la realizzazione di 30 impianti nucleari entro il 2020, ma i finanziamenti non vi sono ancora. Del resto, il nucleare coprirà appena il 4% del fabbisogno d'energia previsto per il 2010, e un altro 5% sarà soddisfatto dagli impianti eolici e solari.
La Cina dovrà dunque ancora per molto tempo dipendere all'uso del carbone per uso energetico e anzi, ne aumenterà il consumo. (PB)