Impedita veglia di preghiera per il rilascio di Aung San Suu Kyi
Manifestazione di piazza ieri a Yangon per il 17mo anniversario della vittoria del partito del Nobel per la Pace; un violento gruppo di attivisti vicini alla giunta militare impedisce però ai manifestanti di raggiungere una pagoda e pregare per la donna, cui il governo proroga di un anno gli arresti domiciliari. Coro di critiche internazionali, da cui si astiene la Cina.
Yangon (AsiaNews) - Militanti filo-governativi hanno impedito ieri lo svolgimento di una veglia di preghiera a Yangon organizzata in favore della leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi. Circa 200 persone si sono radunate nell’ex capitale per il 17mo anniversario della vittoria del partito del Nobel per la Pace Suu Kyi, cui la giunta militare il 25 maggio ha prorogato di un altro anno gli arresti domiciliari. La decisione ha sollevato un coro di proteste da tutto il mondo, mentre la Cina considera ancora la questione un “affare interno” del Myanmar.
Subito dopo la manifestazione, davanti alla sede della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), i dimostranti dovevano procedere verso una pagoda buddista nel centro cittadino, dove avevano intenzione di pregare per il rilascio della dissidente. A impedire l’evento, un centinaio di sostenitori del regime militare che con insulti, minacce e aggressioni hanno fermato il corteo pacifico.
Nel 1990 la Lnd ha vinto le elezioni, i cui risultati non sono mai stati riconosciuti dalla giunta. Aung San Suu Kyi, ha trascorso 11 degli ultimi 18 anni da prigioniera politica.
Forti le critiche internazionali alla proroga degli arresti e le voci che chiedono il rilascio del Premio Nobel. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, tramite la sua portavoce, ha detto di “credere fermamente che prima le misure restrittive contro Suu Kyi e altre figure politiche saranno tolte, prima il Myanmar potrà procedere verso la riconciliazione nazionale, il ritorno della democrazia e il pieno rispetto dei diritti umani”.
La scorsa settimana i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale (Asean) hanno rotto la classica politica di non-interferenza e chiesto alla giunta birmana di liberare Suu Kyi. Intanto al Consiglio di Sicurezza Onu una risoluzione proposta dagli Usa a gennaio per la fine della repressione in Myanmar è stata bocciata dal voto contrario di Russia e Cina. Quest’ultima è particolarmente interessata all’isolamento politico dell’ex Birmania, dove sta compiendo, indisturbata, ingenti investimenti nel settore minerario, petrolifero e del gas. Di recente il ministero degli Esteri cinese ha definito la questione Suu Kyi un “affare interno” del governo birmano.
Vedi anche