Imminente l’accordo fra Turchia e Armenia. I giovani lo sperano da tanto tempo
Ankara (AsiaNews) - Stavolta pare proprio certo: Turchia e Armenia si riavvicinano dopo quasi un secolo di ostilità e silenzio. Il 10 - 11 ottobre a Zurigo, grazie alla mediazione di Micheline Calmy-Rey, ministro svizzero degli Esteri, i ministri degli Esteri dei due Paesi, il turco Ahmet Davutoglu e l'armeno Eduard Balbandian, firmeranno un accordo per avviare relazioni diplomatiche. Lo ha annunciato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan durante la sua conferenza all’università di Princeton, in occasione della sua presenza negli Stati Uniti per il G20, e dopo aver incontrato esponenti armeni della diaspora.
Il Premier turco appare determinato:“Vogliamo risolvere – ha detto - le questioni che abbiamo davanti. Vogliamo portare a termine con successo i passi che abbiamo intrapreso con fermezza”. E, riferendosi sia all’apertura verso gli armeni che verso i curdi, ha affermato con chiarezza che “in questo processo di democratizzazione tutte le questioni sono a pari livello, ma è impossibile risolverle tutte nello stesso momento, bisogna digerirle e farle digerire piano piano”.
Già lo scorso aprile Turchia e Armenia avevano annunciato di aver stilato due protocolli per riprendere le relazioni diplomatiche, riaprire la frontiera e fissare una serie di misure graduali per migliorare i rapporti, i documenti, però, dovranno poi essere ratificati dai parlamenti nazionali prima di entrare in vigore. E tutto ciò incontra ancora forti opposizioni interne, da entrambe le parti.
Si sta ancora trovando un accordo per la dolente questione del Nagorno Karabakh, la regione a maggioranza armena in territorio azero teatro di una sanguinosa guerra negli anni Novanta e a causa della quale la Turchia chiuse le frontiere nel 1993 in solidarietà con l'Azerbaijan, il Paese musulmano suo alleato, che stava combattendo contro i ribelli separatisti armeni. Ma è soprattutto la scottante questione delle persecuzioni degli armeni a opera dei turchi, che rimane un nodo irrisolvibile. Le prime, a fine ‘800, per mano del sultano ottomano Abdul-Hamid II; le seconde durante la Prima guerra mondiale. Secondo gli armeni, tra il 1915 e il 1916 “sparirono” un milione e mezzo di persone deportate ed eliminate per ordine del governo turco; solo 500 mila secondo gli storici turchi, morti durante le operazioni militari in corso. E così la parola “genocidio” resta il pomo della discordia.
Intanto cresce l'attesa per la possibile visita del presidente armeno Serzh Sarksyan in Turchia il 14 ottobre, per la partita di calcio di ritorno tra Armenia e Turchia, che si giocano la qualificazione alla Coppa del Mondo.
Sarksyan aveva annunciato che non avrebbe presenziato alla partita - nonostante l'anno scorso il presidente turco Abdullah Gul si sia recato a Yerevan per l'andata - a meno che il confine non fosse aperto o che ci fossero chiari segnali su una prossima riapertura. Egli non ha ancora fatto sapere la sua decisione, ma rimane fermo sulla sua richiesta che vengano aperti i confini al più presto, perché il suo Stato possa trovare una boccata d’ossigeno anche contro l’attuale crisi economica che sta mettendo in ginocchio il Paese. “Anch’io desidero che questa questione si risolva, altrimenti si rischia di rendere ancora più profonda l’inimicizia tra i due popoli”, afferma a più riprese Sarksyan, consapevole della forte opposizione che ha di fronte, soprattutto da parte degli armeni della diaspora. Proprio per questo dal 1° ottobre egli inizierà un fitto tour in Francia, America, Libano e Russia, per incontrare i suoi connazionali, ascoltare le loro resistenze, spiegare il processo in atto e convincerli sulla validità dei due protocolli sull'instaurazione di relazioni diplomatiche e sullo sviluppo di relazioni bilaterali.
Fra gli armeni che abitano in Turchia è opinione comune che questi protocolli siano un passo indispensabile per migliorare i rapporti tra i due popoli e porre fine ai pregiudizi presenti da entrambe le parti. “Una grande rivoluzione di mentalità”, afferma Alber Kesis, professore all’Università di Istanbul. “Un’occasione preziosa per tranquillizzare gli animi, sanare le ferite, aprirsi al dialogo e costruire relazioni amicali”, aggiunge lo studente Aykun Kasakyan, che spesso si reca in Armenia e segue programmi televisivi sia in turco che in armeno, potendosi così rendere conto di persona quanto i mass media spesso alimentino l’inimicizia e l’ignoranza tra i due popoli.
Sono in molti a dichiarare di avere buoni rapporti con i propri vicini.
“Si aprano, si aprano questi confini. Le due nazioni prendano aria. Le porte sono ammuffite. Non siamo anacronistici. Coloro che si oppongono a questa apertura con ragioni nazionaliste, danneggiano l’umanità e la propria stessa nazione”: è il coro all’unisono dei giovani armeni che in Turchia sono nati e cresciuti, abitano, studiano, sognano. Ma è anche il coro degli armeni residenti in Armenia. Mentre i Grandi di mezzo mondo discutono di strategie presenti e future per arrivare ad una rappacificazione e soluzione di questo conflitto incancrenito, le nuove generazioni, che già vivono gomito a gomito tra loro - senza cancellare la memoria dolorosa delle loro famiglie - hanno già abbattuto il muro dell’odio e della diffidenza. E nutrono una grande speranza di rinnovamento e di pace.