Il ‘dono delle lingue’ e il futuro dei giovani di Taiwan
Nel giorno di Pentecoste una riflessione pubblicata sul sito delle Missions Etrangeres de Paris da p. Claude Louis Tisserand, da oltre 45 anni missionario tra le comunità aborigene di Taiwan. Il dilemma tra le culture locali da preservare e il bisogno dei genitori e della Chiesa stessa di educare a parlare e professare la propria fede in mandarino, la lingua delle città.
Milano (AsiaNews) - La capacità di dare voce al Vangelo in tutte le lingue è uno dei grandi segni dello Spirito che nella solennità di Pentecoste la Chiesa oggi celebra. Ma è anche un tema da sempre centrale nella vita della Chiesa in Asia. Generazioni di missionari e di cristiani locali hanno tradotto il Vangelo e i testi della liturgia nelle lingue autoctone ed è uno sforzo che continua ancora oggi. Ma in un continente dove sempre di più i popoli si spostano e si incontrano, può essere ancora questa l’unica strada per affrontare il tema delle lingue? È il tema al centro di un’interessante testimonianza di p. Claude Louis Tisserand, missionario a Taiwan da oltre 45 anni, pubblicata in questi giorni sul sito internet delle Missions Etrangeres de Paris (Mep).
Nella sua riflessione - intitolata “Il rompicapo delle lingue e la scomparsa delle lingue aborigene” - il missionario deilleMep riflette a partire dalla situazione concreta delle comunità aborigene di Taiwan. “Il problema della lingua nelle loro comunità è duplice - racconta -. Il primo è la difficoltà di imparare una seconda lingua, dopo aver studiato il mandarino, la lingua ufficiale. Il secondo grattacapo è la scelta della lingua da utilizzare per le letture della Messa, l’omelia, le preghiere e soprattutto i canti. La scelta dipende dalle persone presenti quel giorno, che può variare da una domenica all'altra. Celebrazioni di famiglia attirano spesso un folto gruppo di cugini, nipoti e altri parenti, di solito più giovani, che sono appena tornati dalle città dove lavorano e che non hanno mai imparato bene o hanno dimenticato la lingua aborigena. Sono questi frequentatori irregolari, arrivati all'improvviso, che hanno bisogno di essere collegati alla Chiesa e quindi di una liturgia che parli loro”.
A Taiwan oggi la lingua comune per gli scambi interetnici è il mandarino, la lingua ufficiale, insegnata in tutte le scuole e ampiamente utilizzata in televisione, nell'amministrazione e nei grandi magazzini. Tuttavia, il dialetto cinese minnan resiste, soprattutto nelle città e nelle campagne del sud e dell'ovest dell'isola. “L'uso del dialetto cinese hakka – osserva p. Tisserand - è invece in declino, perché i genitori sono riluttanti a parlare ai figli nella loro lingua madre. Preferiscono parlare loro in mandarino, in modo che si sentano a loro agio con tutti quelli che incontrano. Questo è ancora più vero per le lingue delle varie tribù aborigene, che insieme rappresentano solo il 2% o il 3% della popolazione. Solo poche famiglie isolate vogliono mantenere la loro identità e insegnare qualche rudimento della lingua ai loro figli, che non oseranno mai usarla al di fuori della famiglia”.
“Inizialmente, come la maggior parte dei missionari, tendevo a incoraggiare i genitori a usare le lingue aborigene - riflette p. Claude Louis - affinché non scomparissero, vedendo la lingua come un bene culturale da preservare. Ma ora capisco meglio l'atteggiamento delle madri che, pur deplorando la scomparsa della lingua degli anziani, scelgono comunque di parlare ai loro figli in mandarino fin dall'inizio della loro vita. Come in molti altri Paesi, anche a Taiwan la corsa alle buone scuole inizia presto e i genitori non vogliono penalizzare i propri figli ritardando l'apprendimento della lingua comune. La lingua è lo strumento di base per accedere alle conoscenze scientifiche e alle ricchezze culturali di tutto il mondo. Con il mandarino si ha accesso all'essenziale”.
Come porsi come Chiesa davanti a questa situazione? “Ai cristiani in genere piace mantenere i canti tradizionali nella lingua della tribù – racconta il missionario -. Le melodie, molte delle quali sono molto belle, sono più espressive per loro. La preghiera e l'intera liturgia sembrano essere più una questione di sentimento che di comprensione intellettuale e, poiché gli anziani sono spesso la maggioranza, l'uso del mandarino è meno necessario”. Ma p. Tisserand vede un pericolo: “Si potrebbe pensare che i primi cristiani, sessanta o più anni fa, non si ponessero molte domande teoriche e accettassero ciò che veniva detto loro senza pensarci troppo. La vita era più dura a quei tempi e le persone dovevano preoccuparsi di mangiare prima di filosofare. Il pericolo è quello di non preparare i giovani al mondo di domani e alle parrocchie delle città dove tutto si fa in mandarino. Con il pretesto di preservare la cultura, rischiamo di perdere tutto”.
“Alle culture non è stata promessa la vita eterna – conclude la sua riflessione il missionario francese -. Sono come tutti gli esseri viventi: nascono, crescono, si sviluppano, vivono la loro vita e muoiono. Come i faraoni, non ci resta che portarle via e metterle nei musei. Che lo Spirito Santo ci ispiri a trovare altri modi per infondere la vita e l'amore di Cristo nei cuori delle persone”.
18/02/2022 11:24