Il venerabile fr. Agnelo D’Souza modello per tutti nell’Anno sacerdotale
di Nirmala Carvalho
Il missionario di San Francesco Saverio, scomparso nel 1899, richiama oggi migliaia di fedeli alla sua tomba sulla collina di Pilar a Goa. P. Mascarenhas, originario della città indiana, oggi responsabile della sezione asiatica del Pontificio consiglio per la cultura, ripercorre la vita di fr. Agnelo “segnata da semplicità, umiltà, rinuncia e ascetismo”.
Mumbai (AsiaNews) - “Nell’Anno sacerdotale la figura del venerabile fr. Agnelo D’Souza risplende come un modello di cosa significhi essere prete nel mondo moderno”. P. Theodore Mascarenhas, originario di Goa, oggi in Vaticano come incaricato della sezione asiatica del Pontificio consiglio per la cultura, introduce così la figura di fr Agnelo D’Souza.
Il missionario di San Francesco Saverio, morto nel 1927 e dichiarato venerabile nel 1986, oggi raccoglie attorno a sé migliaia di fedeli che cercano in lui aiuto materiale e spirituale. Nei giorni dell’82mo anniversario della scomparsa di fr. Agnelo, cristiani e non solo hanno visitato la collina di Pilar a Goa per onorarne la tomba (nella foto). I confratelli del venerabile affermano che almeno 200mila hanno ricevuto grazie e aiuti da fr. Agnelo e che la sua popolarità percorre tutta l’India tanto che la novena a lui intitolata è tradotta in tamil, indi, marathi, konkani, gujarati oltre che in inglese.
P. Theodore Mascarenhas afferma che è la profondità della figura di fr. Agnelo ad attrarre l’attenzione della gente e creare quest’onda di devozione.”La sua vita è stata segnata da semplicità, umiltà, rinuncia e ascetismo. Non si può dimenticare che egli ha deciso di intraprendere la vita missionaria dopo essersi ritirato per un mese riflettendo sul mistero della morte”. P. Mascarenhas sottolinea che il venerabile decise di diventare membro della società di San Francesco Saverio conquistato dalle parole di San Paolo: “Se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14, 8-9).
Fr. Agnelo era solito dire: “Confido in Dio e riposo come un cane ai piedi del suo padrone”. P. Mascarenhas afferma che questa frase “è un’indicazione preziosa per i sacerdoti di oggi che sono portati ad usare ogni tipo di tecnologia e media per ‘esercitare il loro ministero’”. Il venerabile del Pilar ricorda a tutti qual è “il vero carburante per il motore della vita di un sacerdote. La fiducia in Dio è frutto di una profonda unione con lui nella preghiera che è stato il modo di vivere di fr. Agnelo”.
Il missionario di Goa era solito dire che “senza il costante respiro divino noi saremmo ridotti a nulla” e invitava tutti a pregare con tutta l’anima, il cuore e la mente perché “se noi stessi non prestiamo attenzione a quello che chiediamo a Dio, come può egli darci ascolto?”.
Oltre alla preghiera costante, fr. Agnelo è ricordato per la sua attenzione al sacramento della riconciliazione. P. Mascarenhas sottolinea che questo aspetto “deve essere riaffermato tra gli uomini e le donne di oggi perché è all’origine della riconciliazione con Dio, con il prossimo e alla radice della pace interiore di ogni singola persona”. Il venerabile invitava sempre i fedeli ad “accostarsi alla confessione come se fosse l’ultima prima della morte”. Ai seminaristi e giovani preti ricordava che “un peccatore, per convertirsi e tornare sulla retta via della penitenza e della perfezione, deve meditare ogni giorno per almeno un quarto d’ora e fare l’esame di coscienza prima di prendere sonno”.
Gli insegnamenti e la testimonianza di fr. Agnelo sono semplici. E nell’ansia dettata dal mondo moderno si offrono come un respiro nuovo che affascina non solo gli abitanti dell’India. P. Mascarenhas ricorda che alle celebrazioni “per l’anniversario della morte, nel 2008, a Londra la chiesa era piena di fedeli e non tutti erano originari di Goa”. E che la sua fama di santità supera i confini dell’India per spingersi sino al Canada e agli Stati Uniti dove esistono gruppi di “Amici di fr. Agnelo”.
Ciò che conquista i devoti del venerabile non sono tanto “l’estrema austerità ed i sacrifici che caratterizzano la sua vita”, spiega p. Mascarenhas, quanto piuttosto “il totale abbandono di sé in unione di anima e corpo con Gesù Cristo”.
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