Il rallentamento dell’economia indiana: a rischio il futuro dei giovani
Mumbai (AsiaNews) - La crescita economica dell'India, che ha raggiunto il 9% nell'ultima parte dello scorso decennio, è scesa al 6% nel trimestre chiuso il 31 dicembre 2011, registrando il livello più basso degli ultimi tre anni. Il governo ha già declassato le aspettative di crescita nel budget di marzo. Tuttavia, secondo un'indagine condotta della Planning Commission, dal 2004/2005 al 2009/2010 il livello di povertà in India è sceso dal 37,2% al 29,8%. Questo significa che circa 360 milioni di persone vivono ancora sotto la linea di povertà, su una popolazione totale di 1,2 miliardi. Nel periodo preso in esame, la povertà delle aree rurali è diminuita più in fretta di quella urbana.
Questo rallentamento della crescita sfida le due visioni sposate dai leader di New Delhi: che il Paese riuscirà a sradicare in modo efficace la povertà nel giro di una generazione, e che prenderà il posto che gli spetta tra le teste di serie dei poteri globali. Entrambi gli obiettivi dipendono da un'economia che generi risorse sufficienti a colmare le evidenti carenze in materia di salute e istruzione, e a costruire un apparato militare forte. L'India deve inoltre creare posti lavoro, per garantire che i giovani siano impiegati in modo produttivo, piuttosto che attratti dalla miriade di movimenti violenti - dal maoismo, al separatismo etnico, al radicalismo religioso - che costellano gran parte del Paese.
Sebbene la crisi economica mondiale non abbia aiutato le cose, il Wall Street Journal critica i politici indiani. Invece di usare l'abbondanza degli anni del boom [economico] per raddoppiare le riforme, la coalizione di centro-sinistra al governo guidata dal partito del Congress sembra soffrire di uno strano desiderio per il passato socialista. Questo ha portato a sacrificare una storica opportunità di trasformare in fretta l'India in un Paese a reddito medio, sull'altare del miope populismo.
Nessuno incarna questo triste stato delle cose più del primo ministro Manmohan Singh. Un tempo, egli era presentato come il grande riformatore, grazie al ruolo di ministro delle Finanze che ha avviato le riforme "Big Bang", nel bel mezzo della crisi della bilancia dei pagamenti nel 1991. Ma la sua condotta come primo ministro è stata differente. Di recente, il primo cenno di opposizione politica è stato sufficiente per lui per abbandonare il piano per eliminare le restrizioni sugli investimenti stranieri nel mercato al dettaglio. Questi giorni, Singh sembra più interessato a borbottare sulla mano straniera dietro la protesta anti-nucleare nello Stato meridionale del Tamil Nadu, che farne un caso di principio per una più profonda liberalizzazione.
Il più grande "successo" del governo è la National Rural Employment Guarantee Act, il suo fiore all'occhiello, che promette a ogni lavoratore agricolo 100 giorni di lavoro all'anno. Questa distorsione del mercato del lavoro, incoraggia la diffusione della corruzione e ha contribuito - insieme ai sussidi per il carburante e i fertilizzanti - ad aumentare il deficit federale di bilancio a circa il 5,6% del Pil di quest'anno, invece del preventivato 4,6%. La proposta di una legge sulla sicurezza alimentare sul cibo metterebbe miliardi di dollari in più in un sistema di distribuzione pubblica, già noto per la corruzione e gli sprechi, e creerebbe un nuovo diritto che le future generazioni troveranno difficile da sopprimere.
Il rallentamento della crescita dovrebbe essere preso come un avvertimento che non ci sarà un bottino sufficiente da dividere, se Delhi continuerà il suo corso attuale, invece di optare per una forte politica pro-crescita. La questione adesso è quanto tempo impiegheranno i politici indiani ad ascoltare il campanello d'allarme lanciato dalla lenta crescita e attueranno riforme per liberare le potenzialità del Paese.
26/06/2020 11:47