Il problema dei rifiuti sull'Everest
Nella sola area del Sagarmata, il nome nepalese della montagna più alta del mondo, l’accumulo di rifiuti è pari a circa cinque tonnellate al giorno. Le condizioni ambientali complicano le periodiche iniziative di raccolta e il numero crescente di escursionisti non aiuta, ma solo l'alpinismo frutta al Nepal il 10% del proprio Pil.
Kathmandu (AsiaNews) - La stagione delle scalate all’Everest, tra marzo e maggio, quando le condizioni sono più favorevoli, è in pieno svolgimento. Nonostante i limiti già imposti, le autorità e le organizzazioni impegnate nella salvaguardia del territorio temono, però, che anche quest’anno le conseguenze sul piano ambientale saranno pesanti, soprattutto per quanto riguarda l’accumulo di rifiuti. La permanenza degli scalatori nei vari campi attorno e sopra la montagna dura in media due mesi, tempo necessario per l’avvicinamento e l’acclimatamento. Nella sola area del Sagarmata, il nome nepalese dell’Everest, l’accumulo di rifiuti è pari a circa cinque tonnellate al giorno.
Si tratta soprattutto di lattine e bottiglie di plastica, ma anche escrementi umani e animali che, nelle aree prossime ai percorsi di salita e accampamento, creano delle vere e proprie discariche che causano un’inevitabile diffusione di elementi tossici nel suolo e nelle acque. Gli esperti hanno trovato alti livelli di tossicità nelle acque di scioglimento utilizzate per l’agricoltura e l’allevamento, ma anche in profondità nei ghiacciai, che già subiscono l’attacco del riscaldamento globale.
Sono 60mila gli appassionati della montagna che ogni anno a vario titolo entrano nell’area del Parco nazionale e nell’area-cuscinetto di Sagarmata. La montagna sorge nella regione nord-orientale di Khumbu, dove oltre alla cima più alta del mondo si trovano anche altre sei montagne di altezza elevata, attrazione per gli scalatori. Tra i 400 e i 500 ogni anno tentano la scalata fino alla vetta dell’Everest. I benefici economici dell’escursionismo in alta quota fruttano al Nepal quattro miliardi di dollari, il 10% del Pil.
Ma con l’aumento delle ascensioni, a partire dagli anni ’80, anche i rifiuti hanno cominciato ad avere conseguenze sempre maggiori. Tre elementi rendono problematica la coesistenza della montagna con una massa di visitatori intollerabile per il fragile ecosistema: numero e soprattutto incuria dei trekker e degli alpinisti; la difficoltà dello smaltimento a livello locale, a partire dalla mancanza di vasche settiche e strutture di raccolta; regole che sembrano incentivare una condotta non rispettosa dell’ambiente.
Inoltre, le difficili condizioni ambientali non favoriscono le periodiche iniziative di pulizia da parte degli sherpa e dei gruppi ambientalisti, e rendono complicato anche il recupero degli scalatori dispersi e i resti di coloro che sono deceduti.
La concessione a chi ha pagato fino a 80mila dollari per potere tentare l’esperienza di conquista dell’Everest impone la trattenuta di 4mila dollari depositati in anticipo se non viene rispettato l’obbligo di riportare a valle e depositare in centri indicati i rifiuti. Ma ogni anno solo 22 tonnellate di rifiuti sono portate in apposite discariche.
La congiunzione tra le necessità economiche del Nepal e la pressione di un gran numero di visitatori non sempre esperti o educati nella tutela ambientale, con benefici un tempo per le popolazioni locali che sembrano diventate un incentivo alla migrazione degli sherpa, sta portando al punto di rottura e la situazione mostra chiaramente la necessità di una revisione profonda delle priorità e dei metodi di sfruttamento dell’Everest e in generale delle aree all’ombra degli Ottomila.