Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano
Beirut (AsiaNews) – L’Islam si difende dalle conversioni attraverso la condanna a morte o l’imprigionamento dell’apostata. Ma l’ossessione delle conversioni va di pari passo con una serie di privilegi dati all’Islam. In tanti paesi musulmani, anche quelli “laici”, il diritto di propagare l’Islam è un diritto naturale e non vi è bisogno di alcuna legge; il diritto di propagare un’altra religione è considerato di fatto o per legge inaccettabile.
La propaganda islamica è un dovere dello Stato: in Egitto ogni settimana vi sono canzoni, preghiere, film, rubriche tutti inneggianti all’Islam e deprecativi del cristianesimo. E questo senz’altro suscita conversioni all’Islam.
Invece la propaganda cristiana (tabshir) è proibita per legge. Di recente in Algeria è stata varata una nuova legge che condanna chi propaganda la fede cristiana e chi si converte. Certo, qualcuno dice: questa legge è solo contro il proselitismo protestante. È vero, ma i musulmani non fanno proselitismo? Se vi è una legge, non deve essere uguale per tutti?
Il Paese dove lo squilibrio dei due pesi e due misure è più evidente è l’Arabia Saudita. Perfino il sito della Saudi Arab Airlines porta scritto con chiarezza che sui suoi voli sono proibiti bibbie, crocifissi, ecc. Ogni segno religioso non islamico viene requisito. Nel Paese, perfino due pezzi di legni incrociati per terra sono considerati un segno religioso e chi vi è vicino è costretto dalla polizia a calpestarli.
La propaganda anticristiana si vede anche nell’uso delle parole. In arabo i cristiani si chiamano “massihi”. In Arabia si usano altri due termini: la prima è “salībi”, che significa “crociato”. Va notato che all’epoca dei crociati, gli storici musulmani non chiamavano “crociati” i cristiani, ma “farang”, franchi. Un’altra parola usata è “nasrami”, nazareno. La più frequente poi è “kuffar”, miscredenti, quelli che devono essere uccisi. Così tale linguaggio deprecativo e ostile si diffonde in tutto il mondo musulmano da circa 30 anni.
In Egitto si dice che negli ultimi decenni, le conversioni di cristiani all’islam sono state di circa 10.000 all’anno. Quasi sempre per motivi pratici: per divorziare o sposare una musulmana (o un musulmano), o per motivi di lavoro; raramente per motivi religiosi. Più recentemente, si è parlato molto di migliaia di convertiti dell’islam al cristianesimo. Si dice che vi sono delle “centrali” di missionari protestanti, formati in America (qualcuno parla dell’Istituto Zwemer, famoso missionario protestante[1]), che offrono soldi, appartamenti, passaporti, ecc in cambio dell’adesione alla fede cristiana. In questa faccenda di Hegazi, la stampa islamica ha ripetuto spesso queste accuse. La parola “tabshīr”, che significa “evangelizzazione”, in arabo ha preso ormai un significato negativo, e l’atto è passibile di prigione o d’espulsione in Egitto come in altri Paesi musulmani. Invece la parola “da’wa”, che significa “chiamata” ad aderire all’islam, è considerata come positiva ed è un obbligo per ogni musulmano, al punto che molti Paesi musulmani hanno un “ministero della da’wa”, cioè della propaganda islamica (potremmo dire analogo al dicastero vaticano “De propaganda fide”).
Quando avremo un Islam spirituale?
La conversione dall’Islam è vista come uno scandalo religioso, sociale e politico. Dal punto di vista religioso si abbandona l’unica vera fede per una falsa. Il Corano afferma: “La vera religione presso Dio è l’Islam”(Corano 3,19) e anche: “Chi cerca un’altra religione avrà una conclusione tragica nell’aldilà” (Corano 3,85) .
Dal punto di vista sociale, se uno si converte al cristianesimo, incoraggia altri a seguirlo e allora diviene una piaga per la società.
L’aspetto politico, sempre messo in luce è che l’Islam è una comunità, la Ummah. Se uno lascia l’Islam, diviene come un traditore e una spia contro la propria nazione e perciò merita la morte.
Il governo egiziano, ad esempio, dice che chi si converte a un’altra religione, “attenta all’unità nazionale”. E’ probabile che il governo non ucciderà l’apostata. Di solito essi cercano di mettere a tacere la cosa o di far emigrare l’apostata. É avvenuto così per lo scrittore Nasr Hamed Abu Zaid, che ha ricevuto la fatwa per essere ucciso ed è stato fatto fuggire in Olanda.
Uno studioso musulmano francese, Abdennour Bidar, in un libro edito di recente[2], afferma: “L’Islam deve arrivare ad essere non più una religione, ma una corrente spirituale e una questione di scelte personali”. Il fatto grave dell’Islam è che l’adesione all’Islam oggi significa aderire ad un gruppo politico e sociologico: non significa aver fatto una scelta religiosa e spirituale. Questa è la grande malattia dell’Islam di oggi: se non si compie questa profonda conversione, l’Islam rimarrà sempre nemico del mondo moderno. Quest’ultimo è basato sulle libertà individuali, sulla persona più che sul gruppo, sulla libertà di coscienza, ecc. E i musulmani vogliono questo, ma non capiscono che tutto è collegato. Finché non si arriva a considerare che l’Islam è una scelta personale e non una questione di gruppo o di partito, si rimarrà indietro.
Fino ad oggi tutto l’insegnamento islamico è basato sulla “sottomissione” (Islam). Tale sottomissione è il contrario della libertà. Anch’io come cristiano riconosco la sottomissione a Dio, ma rimango figlio e libero! Anche Cristo è stato obbediente (Filippesi 2, 8); anche un religioso fa i voti di obbedienza, ma si aderisce e si rimane legati alla propria libertà di coscienza.
Invece nell’Islam l’insegnamento più classico che si diffonde nelle famiglie e nei media è che la sottomissione deve essere totale, annientando la personalità e ogni differenza.
E noi cristiani e gli occidentali, dobbiamo aiutare l’Islam a fare questo passo: capire che la libertà personale non è contro l’islam né contro Dio, ma al contrario per Dio che ha creato l’uomo dotato di discernimento e di libertà, a differenza di tutto il creato, perché senza libertà di scelta non c’è amore. Come dice Cristo ai discepoli: “Non vi chiamo servi, ma amici” (Giov 15,15).
[1] Samuel Marinus Zwemer (12 aprile 1867 – 2 aprile 1952), soprannominato “l’apostolo dei musulmani” è stato missionario in Arabia dal 1891 al 1905, e in altri Paesi musulmani, ha diretto a lungo la rivista “The Moslem World” e ha formato centinai di missionari protestanti. Il suo metodo consisteva nel convincere il musulmano partendo dal Corano e confrontandolo col Vangelo. Più che convertire i musulmani, la sua grande opera è stata di spingere cristiani a annunziare il Vangelo ai musulmani.
[2] Abdennour BIDAR, Self islam. Histoire d’un islam personnel, coll. « Non conforme » (Parigi : Seuil, 2006). Vedi l’ultimo capitolo, intitolato “Self islam” (p. 205-235).
( Domani: Il caso Hegazi: un disegno mondiale di conversione all’Islam?)