06/09/2023, 08.45
KAZAKISTAN-CINA
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Il calvario dei kazaki dello Xinjiang

di Vladimir Rozanskij

Le testimonianze di quanti sono riusciti a fuggire dalle persecuzioni nella regione cinese ma vivono tuttora in un limbo perché Astana non concede loro i documenti perché entrati nel Paese illegalmente. Le pressioni della polizia di Pechino sui parenti rimasti nello Xinjiang.

Almaty (AsiaNews) - Il sito Azattlyk continua a diffondere le notizie sulle difficoltà dei kazachi etnici usciti dallo Xinjiang, e dei loro parenti rimasti nella regione turanica della Cina. Alcuni di loro, come Kayša Akan, Kaster Musakhan, Murager Alimuly sono riusciti a tornare nella patria originaria attraversando clandestinamente la frontiera, per timore delle persecuzioni cinesi. Già da anni vivono con lo status di profughi, ma il governo di Astana non si decide a concedere loro la cittadinanza, e neppure i documenti necessari a trasferirsi in un altro Paese. Secondo gli stessi profughi, il Kazakistan subisce le pressioni di Pechino, che tiene in ostaggio i parenti dei rifugiati per costringerli a tornare in Cina.

Kayša Akan era fuggita in Kazakistan a maggio del 2018, passando senza documenti dal valico Khorgos, dopo essere stata rinchiusa per un periodo in uno dei “campi di rieducazione politica” dove sono stati mandati in questi anni centinaia di migliaia di uiguri, kazachi e altri rappresentanti di etnie turcofone presenti nello Xinjiang. Pechino spiega ufficialmente questa misura come “necessità di de-radicalizzazione dei cittadini”, insegnando loro la lingua e la cultura cinese. Molti prigionieri di questi lager parlano di crudeli torture, sfruttamento forzato al lavoro, esperimenti medici entro le mura degli edifici del tutto simili a una prigione.

Oggi la 47enne Kayša vive nella città di Talgar, nella regione di Almaty, ed è riuscita a formare una nuova famiglia con un abitante del luogo, ma per la mancanza di documenti i coniugi non possono registrare ufficialmente la loro unione. La madre 70enne di Kayša, con un altro figlio adulto e due fratelli, vivono nella campagna di Togyztarau nello Xinjiang, e la figlia vorrebbe riuscire a farla venire in Kazakistan. Ha provato a mandarle un invito tramite altri parenti, ma la parte cinese ha sempre rifiutato il permesso, anzi spesso la madre riceve delle visite dalla polizia locale, che pretendono il ritorno volontario della figlia, “altrimenti ci penseremo da soli”. I cinesi hanno costretto uno dei fratelli a tornare al villaggio dal luogo dove lavorava, ordinandogli di non andare da nessun’altra parte, ma promettendo che “se torna Kayša, le restituiremo i soldi sul conto in banca, e anche la casa”. Lei però è certa che se appena dovesse tornare, finirebbe subito in prigione.

Alla richiesta di Kayša, insieme a Kaster e Murager, di ottenere la cittadinanza kazaca, la questura ha risposto basandosi sulla legge “sulle migrazioni della popolazione”, dove secondo l’articolo 49 alle persone entrate illegalmente nel Kazakistan non è permesso soggiornare stabilmente sul territorio della repubblica. Anche gli altri due erano fuggiti per paura delle repressioni, arrivando a ottobre del 2019 tramite i confini di Zaysansk nella regione del Kazakistan orientale. A fine del 2020 tutti e tre hanno ottenuto lo status di profughi, con un documento di identità della validità di un anno, rinnovato nei due anni successivi.

Il 35enne Kaster pascola il gregge delle pecore nelle valli della regione di Almaty, dopo aver passato alcuni mesi in prigione. Nello Xinjiang era un allenatore di cavalli per gare di equitazione, e da poco ha trovato ad Almaty un anziano appassionato che lo chiama per preparare il suo cavallo a qualche competizione. Anche lui è preoccupato per la madre sessantenne, di salute cagionevole, che entra ed esce dai campi di rieducazione insieme all’altro figlio invalido, senza potere ottenere le cure mediche. Il 29enne Murager era fuggito insieme a lui, lasciando nello Xinjiang entrambi i genitori, la moglie e un figlio minorenne, e oggi lavora come cuoco in un locale di un altro parente ad Almaty.

Alcuni amici e parenti arrivano dallo Xinjiang con i visti turistici, che ora permettono ai cittadini cinesi di rimanere in Kazakistan per due settimane, e riferiscono ai profughi che “la polizia vi sta aspettando, tanto sa che tornerete”. Da profughi non possono ottenere né documenti né lavoro regolare, anche se da Astana si assicura che “il parlamento sta esaminando le modifiche a queste regole”. Sempre che si ottenga il permesso dei padroni di Pechino.

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