Il batterista russo e l'odio dei georgiani
Durante un concerto del gruppo rock "The Killers" a Batumi un episodio a portato alla ribalta le insofferenze della popolazione locale nei confronti dei turisti russi. Che non potranno non influire nella battaglia elettorale per il nuovo parlamento di Tbilisi nel 2024.
Tbilisi (AsiaNews) - L’estate della Georgia, terra di rinomate località turistiche in riva al mare, è stata piena di tensioni per le insofferenze della popolazione locale nei confronti dei turisti russi, in particolare quelli più ricchi e sfacciati, che sbarcavano dalle navi da crociera al porto di Batumi. Un episodio particolare ha reso incandescente questa atmosfera ostile, in occasione di una tournée di concerti nei principali centri del Paese.
Il gruppo rock americano The Killers ha riscosso grande successo a Tbilisi e in altre repliche dopo Ferragosto, finché non è giunto alla Black Sea Arena proprio alla periferia di Batumi, e alla fine del concerto, come sua tradizione, il leader del gruppo Brandon Flowers ha invitato sul palco un batterista scelto tra il pubblico. Il prescelto è salito sulla scena esibendo uno striscione con la scritta If destiny is kind I’ll be your drummer tonight, “se il destino sarà gentile, stasera sarò il vostro batterista”, riscuotendo un grande applauso; ha però poi commesso l’errore di aprire la bocca, rivelando di essere di origine russa. Allora tutto il pubblico ha cominciato a rumoreggiare e fischiare, ma Flowers ha voluto comunque eseguire un brano con l’accompagnamento del russo, e alla fine ha cercato di calmare il pubblico dicendo “siamo tutti fratelli e sorelle”, frase che ha prodotto l’effetto della benzina sul fuoco.
La situazione ha rischiato di esplodere, e i The Killers hanno dovuto fuggire con la coda tra le gambe. Il giorno dopo si sono scusati con tutti i georgiani, insistendo a dire che “non volevamo far arrabbiare nessuno”, ma i dirigenti della sala hanno preso le distanze con un freddo comunicato: “Le azioni degli artisti sulla scena non sono posizioni ufficiali della Black Sea Arena”, sottolineando che “per noi la Russia è un Paese occupante”. La vicenda ha ricordato un famoso verso proprio di un poeta russo, Mikhail Svetlov, che nel 1930, in piena epoca staliniana, aveva scritto Si è taciuto il nostro giovane batterista, il suo tamburo si è spento.
La vicenda ha messo in risalto un aspetto ancora più profondo delle divisioni politiche classiche tra le forze in campo nel Paese caucasico, diviso tra filo-russi e filo-occidentali, secondo logiche di convenienza da “zona di raccordo” tra Oriente e Occidente che da queste parti sono attive fin dai tempi dell’impero bizantino. Si tratta di una incompatibilità etnico-antropologica tra le diverse componenti del popolo georgiano e i popoli slavi, soprattutto i russi, che nella storia hanno tante volte invaso questi territori sia fisicamente, che culturalmente e spiritualmente. Queste emozioni stanno raggiungendo livelli sempre più esasperati, che non potranno non influire nella battaglia elettorale per il nuovo parlamento di Tbilisi nel 2024.
Questi archetipi storici si sono riflessi su tutto il passaggio della fase post-sovietica in Georgia. Ancora nel 1972 il futuro “primo presidente” Eduard Ševarnadze aveva assunto la carica di segretario repubblicano del partito comunista, e nell’occasione i servizi segreti americani avevano preparato una relazione sulla situazione georgiana, in cui si affermava che “i georgiani non sono mai stati russificati al livello delle altre minoranze sovietiche, e tra i 123 membri del Politburo locale ci sono soltanto 7 slavi. La Georgia è unica nel suo genere, forse accostabile solo all’Armenia e alla Lituania, ed è l’unica repubblica sovietica dove nell’ultimo decennio il numero di abitanti russi si è ridotto, invece di aumentare”.
Se i vicini armeni sono un popolo orgoglioso e molto chiuso ai rapporti esterni, anche per la conformazione geografica del suo territorio, i georgiani sono un crogiolo di etnie molto vivaci e creative, che cerca sempre di affermare nuove dimensioni della vita sociale interna e delle relazioni con i popoli esterni, proprio le caratteristiche sempre represse dai russi, e che in qualche modo li avvicinano al carattere degli ucraini. Non a caso la parte più esplicitamente a favore di Kiev, nel conflitto in corso, è rappresentata dall’ex-presidente Mikhail Saakašvili, che ora langue in carcere vicino a Tbilisi, ma che dopo la guerra con i russi si era trasferito in Ucraina, diventando perfino governatore di Odessa.
Non si dimentica neppure in Georgia la figura di Evgenij Primakov, primo ministro russo nel 1998-99 subito prima di Putin, nato a Kiev da madre georgiana e cresciuto a Tbilisi, che cercava un compromesso tra le nostalgie sovietiche e le aperture all’Occidente. Proprio quello che invece non ha voluto fare il suo successore, con grande dispiacere dei georgiani, degli ucraini e di tutti gli europei.
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