Il Tagikistan, capro espiatorio di Mosca
A più di un mese dall'attentato al Krokus City Hall non si placano in Russia le ritorsioni contro i migranti tagichi, al punto da sucitare una nota di protesta di Dušanbe. In centinaia restano bloccati negli aeroporti e alla frontiera col Kazakistan, ma Mosca non può permettersi di perdere il Paese dove è dislocata la sua più importante base militare in Asia Centrale.
Mosca (AsiaNews) - Dopo l’attentato al Krokus City Hall, le condizioni di vita dei migranti dell’Asia centrale in Russia sono peggiorate sempre più di giorno in giorno, e in particolare quelle dei tagichi, coinvolti direttamente nell’attentato. Le repressioni nei loro confronti hanno portato fino a una nota di protesta del ministero degli esteri di Dušanbe nei confronti delle autorità di Mosca. Da un mese a questa parte si susseguono le perquisizioni e gli arresti dei migranti, portati via di forza dagli ostelli, dai luoghi di lavoro e perfino dalle moschee. Chi non è in regola con i documenti viene rapidamente rimpatriato, e chi cerca di entrare in Russia viene bloccato alla frontiera.
Secondo l’osservatore Abdumalik Kodirov, le pressioni russe sui migranti tagichi sono azioni “intrise di spirito vendicativo, che non portano vantaggi a Mosca”. Allo stesso tempo, egli riconosce che l’indifferenza della gioventù tagica all’adattamento culturale in Russia, compresa l’ignoranza della lingua russa, “è un fattore molto negativo che condiziona le relazioni dei russi verso i migranti tagichi”.
Un altro motivo di tensione risale all’inizio della guerra della Russia in Ucraina, che ha modificato l’atteggiamento del Tagikistan nei confronti della Russia, nonostante le dichiarazioni di fedeltà come la partecipazione all’attuale parata della Vittoria, insieme agli altri capi di Stato centrasiatici. Il presidente Emomali Rakhmon ha ribadito in più occasioni di pretendere rispetto per i suoi connazionali, soprattutto rispetto ai tentativi di arruolarli per il fronte ucraino, e ora le conseguenze dell’attentato terroristico di Mosca portano questi attriti allo scoperto, scaricando sui tagichi le colpe di tutti gli ex-sovietici nel debole appoggio alla Russia, diventando il “capro espiatorio” per tutti.
Anche l’attivismo dei tagichi e di tutti i centrasiatici nella ricerca di collaborazione con i Paesi europei e occidentali ha molto innervosito i russi, come ritiene il politologo Šokirdžon Khakimov, ricordando i recenti incontri di Rakhmon con il ministro degli esteri britannico David Cameron, l’udienza in Vaticano da papa Francesco e gli incontri con i dirigenti politici italiani, tutti partner chiaramente schierati contro la Russia per la guerra in Ucraina.
Intanto centinaia di tagichi sono bloccati negli aeroporti moscoviti e alle frontiere russo-kazache, senza la possibilità di mettere piede sul territorio russo. La portavoce del ministero degli esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha risposto alle rimostranze tagiche che “questi ritardi sono dovuti a misure di controllo più elevate a garanzia della sicurezza e del contrasto al terrorismo, e hanno carattere temporaneo senza distinguere i cittadini in base alla loro nazionalità e Paese di provenienza”.
L’analista Nabi Jusupov ha reagito a tali affermazioni ritenendole “ipocrite e inaccettabili”, in quanto la lotta alla criminalità non può essere limitata a un episodio pur gravissimo, ed è evidente l’accanimento in particolare contro i cittadini del Tagikistan. Inoltre si fa notare che le conseguenze di questi atteggiamenti peseranno su entrambi i Paesi: per molti migranti lavorativi l’occupazione in Russia è l’unica fonte di sostentamento, e il loro ritorno in patria risulterà molto gravoso per l’intera economia del Tagikistan, già ora in grande sofferenza.
Per la stessa Russia, come fa notare anche Kodirov, sarà difficile fare a meno della forza lavoro dei migranti, e Mosca “non può permettersi di perdere un partner importante nella regione”, quindi la persecuzione dei tagichi non dovrebbe durare a lungo. Dušanbe è da sempre il più filorusso tra i Paesi dell’Asia centrale, e sul suo territorio è dislocata la più importante base militare dell’intera regione, che potrebbe diventare di cruciale importanza in un eventuale conflitto in queste zone.
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