Il Patriarca Bechara Rai e la "primavera araba". Tensioni con Parigi e Washington
di Fady Noun
Dopo la Francia, voci di malumori nel governo statunitense per il discorso del patriarca Béchara Raï. Slitta il viaggio nella capitale Usa, dove il patriarca dovrebbe incontrare il presidente Obama. La delicata situazione dei cristiani libanesi, stretti nella morsa fra sunniti e sciiti. La ricerca della pace e di una convivenza comune.
Beirut (AsiaNews) – Tutto è iniziato a Parigi, ai primi di settembre. Invitato dalla Francia, alla quale i neo-eletti patriarchi maroniti concedono – come vuole una antica tradizione – la loro prima visita ufficiale, il patriarca Béchara Raï ha tenuto un discorso certamente equilibrato ma che, al contempo, esulava dall’ordinario. Al suo rientro in Libano, un comunicato del Quai d’Orsay – il ministero francese degli Esteri – ha annunciato che “la Francia è sorpresa e delusa” per le intenzioni espresse dal patriarca, nel corso della conferenza stampa tenuta nel contesto della visita.
Qualche giorno fa la sede patriarcale maronita ha annunciato che la tappa a Washington, inserita nel contesto del viaggio pastorale che il patriarca Raï farà a ottobre negli Stati Uniti, dove risiede una florida comunità maronita, è stata annullata. E nel contesto di questa tappa nella capitale Usa, era al vaglio degli organizzatori la possibilità di un incontro con il presidente Obama. Qualche giorno prima, l’ambasciatrice americana in Libano Maura Connelly aveva visitato Bkerké. Conclusione logica: dopo la Francia, anche gli Stati Uniti sono contrariati per le posizioni prese dal patriarca maronita riguardo la Primavera araba e il movimento Hezbollah.
Ma quali sono, nel dettaglio, queste posizioni? In merito alla Primavera araba, il patriarca non ha preso una posizione pubblica, ma ha di molto mitigato la netta affermazione della Francia, secondo la quale il presidente siriano Assad “è finito”. Il capo della Chiesa maronita, informato su quanto succede in Siria da sacerdoti e vescovi maroniti che vivono nel Paese, ha dichiarato al presidente francese Sarkozy che non vanno affatto sottostimati i rischi di una “deriva confessionale” sunnita in quel Paese, dove la comunità sunnita costituisce circa l’80% della popolazione.
Così dicendo, il patriarca Raï è sembrato privilegiare la conferma al potere del presidente Assad, il cui regime dittatoriale è – in linea di principio – laico, rispetto alla possibile ascesa di una teocrazia sunnita. Ma questo non è affatto ciò che ha detto il patriarca Raï. Quest’ultimo si è sforzato di spiegare che ha solo “descritto una situazione”, ma non ha affatto inteso “prendere le parti” del regime siriano. Il patriarca teme inoltre una deriva militare della rivolta siriana, che sfocerebbe in una guerra civile tra la maggioranza sunnita e la minoranza alawita, di cui fa parte il presidente Bachar al-Assad. Una guerra civile, commenta il patriarca, finirebbe per causare – inevitabilmente – una divisione della Siria, preludio di una “frammentazione” del mondo arabo in entità etnico-religiose. Il patriarca maronita sostiene un regime “civile”, in cui la religione è separata dallo Stato e confida nelle virtù del pluralismo.
Per quanto concerne Hezbollah, di cui il patriarca sembrava giustificare il possesso di armi nelle dichiarazioni pubbliche, il Patriarcato maronita insiste nel dire che le armi resteranno legittime finché l’Occidente – che alcuni identificano con la “comunità internazionale” – non rimuoverà i pretesti che Hezbollah invoca per giustificare il mantenimento di armamenti: un esercito libanese impotente, senza copertura aerea, senza razzi anticarro, e una politica bellicosa di Israele, caratterizzata dalla continua occupazione di lembi di terra che appartengono al Libano.
Queste convinzioni – che taluni ritengono sostenute anche, seppur in modo discreto, dal Vaticano – il patriarca Raï le ha ribadite due giorni fa durante una serie allargata di incontri fra leader religiosi che si sono tenuti, su espressa richiesta del patriarcato maronita, nella sede di Dar el-Fatwa, il Consiglio della comunità sunnita. Un incontro voluto anche, in parte, per correggere l’impressione che il patriarcato maronita giochi la carta “sciita” contro la comunità sunnita, nel quadro di una avventurosa “alleanza delle minoranze”. L’iniziativa del patriarca riflette invece la sua volontà di consolidare il “patto nazionale” fra libanesi e il loro desiderio di vivere insieme.
Tuttavia, questo sforzo si scontra con due punti cruciali, accuratamente evitati durante la seduta: le armi di Hezbollah, la cui funzione non è così altruistica come vorrebbe far intendere il partito filo-iraniano. Queste armi, infatti, sono cruciali nell’equazione geopolitica regionale, e piazzano il Libano nell’asse siro-iraniano, al cospetto dell’asse costituito dall’Occidente. E la seconda, decisiva, questione: il Tribunale internazionale, chiamato a giudicare l’assassinio di Rafic Hariri, nel 2005. Sotto questo punto di vista, il conflitto vede chiaramente opposti sunniti e sciiti, poiché il Tsl accusa in modo esplicito militanti di Hezbollah, quali autori materiali della strage. Hezbollah ha condotto una vasta campagna volta a screditare il Tsl, per spingere il governo libanese a ritirare la sua quota di finanziamento. Per l’opposizione, questa campagna è la controprova che Hezbollah ha tradito Hariri e l’ha eliminato, in collusione con il regime siriano.
Non è chiaro al momento come la Chiesa maronita tratterà questi due grandi dilemmi, che rappresentano il principale ostacolo a una vera pace in seno alla società civile, che metterebbe il Libano e i cristiani libanesi al riparo da ogni sconvolgimento. Si sa solo che il governo di Nagib Mikati ha imposto questo requisito in cima alle sue priorità, ma senza alcuna garanzia di successo.
Inoltre, la volubilità della situazione in Siria è tale che, ancora una volta, sorgono spontanee delle domande. Quali sarebbero le conseguenze, per i cristiani di quel Paese, di una militarizzazione della rivolta, che nessuno potrà controllare? E quali saranno le conseguenze, in questo caso, del presunto sostegno che le Chiese avranno dato al regime in carica, nel momento stesso in cui l’Occidente invita i Paesi arabi, tra cui il Libano, a dissociarsi con forza da questo regime?
Qualche giorno fa la sede patriarcale maronita ha annunciato che la tappa a Washington, inserita nel contesto del viaggio pastorale che il patriarca Raï farà a ottobre negli Stati Uniti, dove risiede una florida comunità maronita, è stata annullata. E nel contesto di questa tappa nella capitale Usa, era al vaglio degli organizzatori la possibilità di un incontro con il presidente Obama. Qualche giorno prima, l’ambasciatrice americana in Libano Maura Connelly aveva visitato Bkerké. Conclusione logica: dopo la Francia, anche gli Stati Uniti sono contrariati per le posizioni prese dal patriarca maronita riguardo la Primavera araba e il movimento Hezbollah.
Ma quali sono, nel dettaglio, queste posizioni? In merito alla Primavera araba, il patriarca non ha preso una posizione pubblica, ma ha di molto mitigato la netta affermazione della Francia, secondo la quale il presidente siriano Assad “è finito”. Il capo della Chiesa maronita, informato su quanto succede in Siria da sacerdoti e vescovi maroniti che vivono nel Paese, ha dichiarato al presidente francese Sarkozy che non vanno affatto sottostimati i rischi di una “deriva confessionale” sunnita in quel Paese, dove la comunità sunnita costituisce circa l’80% della popolazione.
Così dicendo, il patriarca Raï è sembrato privilegiare la conferma al potere del presidente Assad, il cui regime dittatoriale è – in linea di principio – laico, rispetto alla possibile ascesa di una teocrazia sunnita. Ma questo non è affatto ciò che ha detto il patriarca Raï. Quest’ultimo si è sforzato di spiegare che ha solo “descritto una situazione”, ma non ha affatto inteso “prendere le parti” del regime siriano. Il patriarca teme inoltre una deriva militare della rivolta siriana, che sfocerebbe in una guerra civile tra la maggioranza sunnita e la minoranza alawita, di cui fa parte il presidente Bachar al-Assad. Una guerra civile, commenta il patriarca, finirebbe per causare – inevitabilmente – una divisione della Siria, preludio di una “frammentazione” del mondo arabo in entità etnico-religiose. Il patriarca maronita sostiene un regime “civile”, in cui la religione è separata dallo Stato e confida nelle virtù del pluralismo.
Per quanto concerne Hezbollah, di cui il patriarca sembrava giustificare il possesso di armi nelle dichiarazioni pubbliche, il Patriarcato maronita insiste nel dire che le armi resteranno legittime finché l’Occidente – che alcuni identificano con la “comunità internazionale” – non rimuoverà i pretesti che Hezbollah invoca per giustificare il mantenimento di armamenti: un esercito libanese impotente, senza copertura aerea, senza razzi anticarro, e una politica bellicosa di Israele, caratterizzata dalla continua occupazione di lembi di terra che appartengono al Libano.
Queste convinzioni – che taluni ritengono sostenute anche, seppur in modo discreto, dal Vaticano – il patriarca Raï le ha ribadite due giorni fa durante una serie allargata di incontri fra leader religiosi che si sono tenuti, su espressa richiesta del patriarcato maronita, nella sede di Dar el-Fatwa, il Consiglio della comunità sunnita. Un incontro voluto anche, in parte, per correggere l’impressione che il patriarcato maronita giochi la carta “sciita” contro la comunità sunnita, nel quadro di una avventurosa “alleanza delle minoranze”. L’iniziativa del patriarca riflette invece la sua volontà di consolidare il “patto nazionale” fra libanesi e il loro desiderio di vivere insieme.
Tuttavia, questo sforzo si scontra con due punti cruciali, accuratamente evitati durante la seduta: le armi di Hezbollah, la cui funzione non è così altruistica come vorrebbe far intendere il partito filo-iraniano. Queste armi, infatti, sono cruciali nell’equazione geopolitica regionale, e piazzano il Libano nell’asse siro-iraniano, al cospetto dell’asse costituito dall’Occidente. E la seconda, decisiva, questione: il Tribunale internazionale, chiamato a giudicare l’assassinio di Rafic Hariri, nel 2005. Sotto questo punto di vista, il conflitto vede chiaramente opposti sunniti e sciiti, poiché il Tsl accusa in modo esplicito militanti di Hezbollah, quali autori materiali della strage. Hezbollah ha condotto una vasta campagna volta a screditare il Tsl, per spingere il governo libanese a ritirare la sua quota di finanziamento. Per l’opposizione, questa campagna è la controprova che Hezbollah ha tradito Hariri e l’ha eliminato, in collusione con il regime siriano.
Non è chiaro al momento come la Chiesa maronita tratterà questi due grandi dilemmi, che rappresentano il principale ostacolo a una vera pace in seno alla società civile, che metterebbe il Libano e i cristiani libanesi al riparo da ogni sconvolgimento. Si sa solo che il governo di Nagib Mikati ha imposto questo requisito in cima alle sue priorità, ma senza alcuna garanzia di successo.
Inoltre, la volubilità della situazione in Siria è tale che, ancora una volta, sorgono spontanee delle domande. Quali sarebbero le conseguenze, per i cristiani di quel Paese, di una militarizzazione della rivolta, che nessuno potrà controllare? E quali saranno le conseguenze, in questo caso, del presunto sostegno che le Chiese avranno dato al regime in carica, nel momento stesso in cui l’Occidente invita i Paesi arabi, tra cui il Libano, a dissociarsi con forza da questo regime?
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