29/05/2006, 00.00
vaticano
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Il Papa ad Auschwitz: lo sterminio nazista contro gli ebrei è anche contro Dio e i cristiani

di David-Maria A. Jaeger

Benedetto XVI ha guardato a Dio e alla Shoah con gli occhi del salmista. A partire dall'esempio di Edith Stein, occorre riscoprire che ebrei e cristiani condividono lo stesso destino. Il commento di p. Jaeger, sacerdote francescano, ebreo e israeliano.

"Ma com'è possibile", mi domanda  sorpresa  una giovane giornalista, "il Papa, ad Auschwitz, sembra parlare soprattutto di Dio e a Dio!". La rassicuro che il papa non poteva, né doveva fare altrimenti. Ad Auschwitz egli ha fatto quello che deve fare sempre:  parlare di Dio e di tutte le cose precisamente in relazione a Dio, come dice anche  una nota definizione di S. Tommaso d'Aquino.

E quale Dio!

Ad Auschwitz il Papa raccoglie le angosciate domande e proteste di quanti si son domandati se dopo Auschwitz è ancora possibile un discorso su Dio, se non è proprio un non-senso invocare il divino di fronte all'affermarsi così potente e "assoluto" del Male - mi verrebbe a dire "il Male allo stato puro". E di fronte a tante proteste, il Papa recupera il Dio, che i figli di Israele conoscevano e adoravano - o meglio, il rapporto con Dio che essi sapevano di avere. É un rapporto passionale, insegnatoci in modo insuperabile dal Salmista, che il Santo Padre cita a più riprese. É il Salmista, spinto proprio dalla sua fede in Dio, dal suo sconfinato amore per Dio, a protestare, a rimproverare a Dio i suoi silenzi, il suo aver mancato nel venire in aiuto al suo servo, ai suoi amici, al suo Popolo... Il Salmista ci insegna - e il Papa ci ricorda – che il rapporto con Dio è un rapporto vivo, un rapporto estremamente personale, fatto di amore e di tutte le speranze, di impazienze e di esasperazioni che – come ben sappiamo dall'esperienza umana di ciascuno - possono accompagnare l'amore in modo inseparabile.

I credenti in Cristo, poi, ben sanno che Dio ha "riparato" a tutte queste "mancanze"  venendo tra di noi nella Persona del Figlio e riscattando tutte le nostre sofferenze - ma proprio tutte, nessuna esclusa - nell'estremo Sacrificio Redentore sulla Croce, in cui il senso delle nostre "passioni" si ha e si dischiude.

Importantissima l'insistenza del Papa sul carattere radicalmente anticristiano del neopaganesimo nazista, che tagliando le radici ebraiche del cristianesimo, mirava poi a sradicarlo, ad eliminarlo completamente. Ancora troppi miei connazionali ebrei pensano in modo semplicista che, nell'Europa di 60-70 anni fa, un europeo, se non era ebreo, era necessariamente cristiano. Perciò molti di loro credono che lo sterminio, la Shoah, sia stato perpetrato da cristiani! Per noi cristiani pensare ciò è davvero il colmo dell'assurdo. Ma ci è richiesta ancora molta insistenza, molta pazienza, per spiegare la verità di queste cose a tanti miei connazionali, che di cristianesimo conoscono troppo poco. Per definizione, chi prendeva parte in quella ideologia, in quel partito, in quei crimini, non era cristiano - era anzi nemico del cristianesimo, anti-cristiano. Non dobbiamo mai stancarci di spiegare che proprio l'abbandono del cristianesimo, il rifiuto di Cristo, ha reso possibile la Shoah.

Di fronte al Male nazi-fascista, ebrei e cristiani si trovano uniti più intimamente che mai, perchè quello che li unisce, che a loro è comune, è proprio l'essere stato l'oggetto ultimo, definitivo, della follia distruttiva di questo Male che si è abbattuto sull'umanità.  

Nel Discorso pronunciato da Papa Benedetto XVI ad Auschwitz vi sono tanti contenuti che necessitano approfondita riflessione, non solo immediata, ma ancora per molto tempo.

In questo primo momento mi è particolarmente caro il ricordo fatto della santa martire Teresa Benedetta della Croce,  Edith Stein. Questo ricordo è fondamentale per la costruzione di un rapporto sano e veritiero tra cattolici e il Popolo Ebraico, e all'interno dello stesso Popolo Ebraico, tra i credenti in Cristo e gli altri loro "fratelli maggiori", come piacque chiamarli a Giovanni Paolo II. La martire carmelitana personifica in modo drammatico quello che noi, ebrei credenti in Cristo, ben sappiamo: e cioè che condividiamo lo stesso destino, che il credere in Gesù non ci separa dal nostro Popolo, ma anzi rende la nostra solidarietà con tutti i membri di esso ancor più forte, più profonda, più significativa! E' proprio attraverso di lei, e per mezzo di lei, e solo così, che può veramente avvenire la saldatura definitiva dell'amicizia, che è la qualità connaturale del rapporto tra la Chiesa e il Popolo Ebraico.

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