Il Nunzio di Baghdad: "Accanto agli ostaggi c'è il dramma di tutta una popolazione"
Intervista a mons. Fernando Filoni, Nunzio Apostolico a Baghdad
Baghdad (AsiaNews) - Mons. Filoni "non ha soluzioni ottimiste" in mano. Ma la situazione complicata e il dramma degli ostaggi, sottolinea in un'intervista concessa ad AsiaNews, non deve far dimenticare il dramma di tutta la popolazione irachena. La Chiesa irakena, amica di sciiti e sanniti, potrebbe svolgere una funzione di mediazione per il rilascio degli ostaggi. Ma in questo momento non si capisce chi "detiene gli ostaggi". In questo momento critico, la Chiesa è presente "con lo spirito della Pasqua". Il compito dei cristiani in Iraq rimane quello di "portare la pace e la convivenza fra questo popolo".
Mons. Filoni, come hanno reagito gli iracheni all'uccisione dell'ostaggio italiano?
In Italia giustamente vedete il problema da italiani. Qui ovviamente il problema è molto più vasto perché esistono altri quaranta ostaggi. Il dramma è molto più ampio e non possiamo ridurlo al problema di una o due persone. Le sensibilità sono diverse ma non bisogna dimenticare che gli ostaggi sono una quarantina e accanto agli ostaggi vi è il dramma di tutta la popolazione.
Il dramma è vissuto da ostaggi e irakeni. Ma perché prendersela con chi fra gli stranieri si trova in Iraq per aiutare anche la popolazione ed attenuare il suo dramma?
Il problema viene da coloro che qui non apprezzano quel che è successo da un anno a questa parte, e fanno resistenza. Essi si oppongono a tutto ciò che facilita una normalizzazione nuova. Tale normalizzazione non ha tenuto in considerazione e ha travolto militarmente le realtà del passato.
Cosa pensa l'opinione pubblica irachena di questi omicidi a freddo?
Diversi capi sunniti e sciiti sono contrari a questa forma di guerra, che consiste nel rapire degli ostaggi e nel vendicarsi su di loro.
Il sequestro di cittadini stranieri riporta alla Beirut degli anni '80: a che serve tutto questo?
Serve affinché quelli che fanno queste cose [i sequestri ndr] siano isolati da un punto di vista ideale e morale.
Molti cattolici iracheni sono fuggiti dalla città e sono andati verso il nord del paese, si sentono minacciati?
Relativamente. Quelli che possono ritornare ai loro paesi di origine, vi ritornano. Lo hanno fatto anche al tempo della guerra. Subito dopo la guerra sono rientrati in città e alle proprie case. In un clima di tensione e difficoltà, chi non ha impegni particolari, torna al proprio villaggio, dove vi è una calma maggiore.
Come sono trascorse le festività di Pasqua? La vita religiosa e le funzioni hanno subito cambiamenti?
La vita delle comunità continua. Le funzioni religiose pasquali che dovevano essere fatte di notte, sono state trasportate al pomeriggio. Ma la vita continua ugualmente. Le celebrazioni pasquali sono andate bene, anziché a mezzanotte, la messa è stata celebrata ai Vespri.
La Chiesa cattolica e la Nunziatura hanno portato aiuti umanitari alla popolazione civile della città assediata di Falluja. Come viene visto questo aiuto umanitario?
I cristiani davanti all'assedio di Falluja si sono posti il problema di cosa fare. E anche i musulmani se lo sono posto. Abbiamo pensato opportuno intervenire con gli aiuti umanitari, abbiamo raccolto parecchi viveri, alimentari e medicinali, e li abbiamo trasportati a Falluja. Insieme al vescovo mons. Warduni (caldeo cattolico ndr), vi era un imam sciita ed un capo religioso sunnita. La gente è stata molto contenta di non essere stata abbandonata. La città praticamente era semivuota.
Queste azioni possono attenuare in qualche modo l'odio nei confronti dei cristiani ed indirettamente nei confronti dell'Occidente?
Noi lo facciamo per uno spirito umanitario, nel senso della Pasqua cristiana. Tanti apprezzano, anche se c'è qualcuno che non apprezza. Ad ogni modo, noi lo abbiamo fatto in questo senso.
Sembra che ci sia una nebulosa di integralisti incontrollati delle Falangi sparse, con chi è possibile trattare? Chi è veramente a capo di questi gruppi? Può la Chiesa avere un ruolo di mediatore?
Per trattare bisogna sapere chi è il responsabile e chi sono le parti, altrimenti è impossibile ogni trattativa. La Chiesa può svolgere il ruolo di mediatore ma dipende da chi detiene gli ostaggi, se ha interesse a trattare o no. E' tutto molto difficile. In questo momento non vedo alcuna soluzione ottimistica; non abbiamo soluzioni magiche. Cerchiamo di vivere nello spirito della Chiesa, quello spirito per cui siamo qui, di aiuto e di servizio al popolo iracheno. A noi interessa portare qui la pace e la convivenza fra questo popolo.