Il Karakalpakstan vuole una vera autonomia
La richiesta alla base delle recenti proteste represse nel sangue dalle autorità uzbeke. La regione avrebbe il potenziale per l’indipendenza economica. Un caso Karakalpakstan potrebbe ripetersi anche in Russia.
Mosca (AsiaNews) – Dopo le sommosse di Nukus dei giorni scorsi contro le modifiche costituzionali in Uzbekistan, che hanno portato alla morte di 18 dimostranti e 243 feriti, il presidente Šavkat Mirziyoyev ha deciso di non insistere sulla revoca del diritto all’indipendenza del Karakalpakstan. A lui si sono rivolti gli attivisti per i diritti del popolo della regione autonoma, fuggiti o espulsi in vari altri Paesi, sostenendo la decisione presidenziale, ma chiedendo un vero dialogo politico con i rappresentanti della comunità karakalpakstana.
I firmatari dell’appello chiedono di svolgere una vera indagine sulla repressione dei manifestanti di Nukus, di liberare le persone arrestate e rendere nota la lista delle vittime. Essi ritengono che sia necessario formare un nuovo governo nella repubblica autonoma, aprendo alla registrazione di nuovi partiti politici e movimenti sociali, permettendo a tutti di prendere parte alla gestione della cosa pubblica nella regione.
Il principale autore della lettera è Aman Sagidullaev, leader del Partito democratico-progressista del Karakalpakstan attualmente rifugiato politico in Norvegia. Egli ha comunicato alla Associated Press di essere convinto che i burocrati uzbeki stanno nascondendo il numero reale delle vittime, dei feriti e dei fermati delle proteste. Insieme agli altri attivisti, sono state finora identificate 30 persone, basandosi sulle informazioni ricevute da parenti, amici e conoscenti dei defunti.
Secondo Sagidullaev “si poteva evitare questo spargimento di sangue, abbiamo sempre detto di essere disponibili al dialogo, conoscendo l’eredità totalitaria dell’Uzbekistan, che negli ultimi 20 anni ha trasformato il nostro Paese in una prigione”. Secondo la sua denuncia, tutte le frontiere del Karakalpakstan sono controllate da carri armati e forze militari in gran numero, le strade delle città sono sorvegliate da molti poliziotti uzbeki, e gli attivisti sono perseguitati e arrestati.
Da 30 anni l’Uzbekistan sospende l’acqua potabile in estate alla regione, e gli attivisti accusano anche le autorità di Taškent di sterilizzare le donne karakalpakstane, di impedire l’uso della lingua locale nelle scuole e nella pubblicazione di libri e di bloccare l’accesso degli uomini del posto alle cariche dirigenziali. “Nel Parlamento del Karakalpakstan non c’è neanche un deputato di un partito locale”, spiega Sagidullaev, “l’accordo del 1993 era una trappola, non ci hanno mai lasciato alcuna autonomia”.
Gli attivisti ritengono che il Paese sia pronto all’indipendenza anche economica, e che la povertà della regione sia in realtà un dato diffuso dalla propaganda del regime di Taškent, che controlla anche i mezzi d’informazione. Nelle provincie di Mujnak, Karausak e sul fondo del mare d’Aral ci sono oltre 2mila pozzi per l’estrazione di petrolio e gas, e la repubblica è piena di miniere molto estese, ma tutti i guadagni vanno agli uzbeki.
Il politologo uzbeko Ališer Ilkhamov ritiene che la repressione delle proteste di Nukus porterà a conseguenze molto gravi: “Si sono infilati in un vicolo cieco, in uno Stato autocratico come il nostro non è la Costituzione a fare la differenza”. Anche lo storico Damir Iskhakov osserva che molte questioni sono rimaste irrisolte per troppo tempo, ricordando che i karakalpakstani subito dopo la fine dell’Urss si muovevano in migrazione lavorativa, soprattutto in Russia, e poi le vie d’uscita sono state chiuse in gran parte, riducendo le entrate delle famiglie.
Secondo diversi commentatori, il caso del Karakalpakstan ricorda molte altre situazioni di regioni ex sovietiche che aspirano all’indipendenza, soprattutto al Tatarstan, e la situazione che si è creata con la guerra in Ucraina rischia di far esplodere le spinte autonomiste anche all’interno della stessa Russia.
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