Il Fronte Moro condanna il rapimento dei tre operatori umanitari. Nessuno rivendica il sequestro
I ribelli islamici del Milf offrono collaborazione per il rilascio dei sequestrati. Nessuna rivendicazione da parte di Abu Sayyaf . Fonti locali escludono la matrice politica e religiosa, più probabile il movente del riscatto. La polizia indaga anche sul coinvolgimento di un dipendente del carcere visitato dai tre operatori.
Manila (AsiaNews) - “Abbiamo chiesto alle nostre forze militari e politiche presenti sul territorio di raccogliere informazioni e dare il loro aiuto per il rilascio del team della Croce Rossa”. Sono le parole di Mohaqher Iqbal, uno dei capi del Moro Islamic Liberation Front (Milf), il gruppo ribelle che da 40 anni combatte nel Mindanao per la creazione di uno Stato musulmano indipendente.
Il più grande gruppo ribelle islamico dell’isola condanna il rapimento, mentre resta ignota l’identità degli autori del sequestro. Il comandante dell’esercito nell’ovest del Mindanao, Nelson Allaga, ha affermato in merito: “Non siamo certi che ci sia Abu Sayyaf dietro al rapimento perché nessun gruppo ha rivendicato l’azione”. Anche il responsabile della Croce rossa filippina, Roland Bigler, dice di “non sapere quale gruppo si nasconda dietro il rapimento”.
Le indagini e le ricerche dei tre operatori dell’ICRC intanto si intensificano soprattutto all’interno dell’isola, nell'area attorno alla città di Patikul, roccaforte di Abu Sayyaf. La polizia di Jolo afferma che a guidare il gruppo di rapitori c’era Albader Parad, capo del gruppo islamico.
Nessuna smentita sul coinvolgimento di una persona interna al carcere visitato dai tre rapiti poco prima dell’agguato. In merito Allaga ha affermato: “Stiamo ancora valutando le informazioni sulla complicità di una guardia carceraria con il gruppo armato”. Il sospettato sarebbe indiziato anche per la fuga di 12 reclusi nel carcere avvenuta martedì 13.
Alcuni commentatori associano il rapimento e ai segnali di disponibilità alla riapertura del processo di pace tra Milf e governo. Per alcuni la vicenda di Jolo sarebbe un tentativo di fermare la ripresa dei negoziati.
Il 14 gennaio, il giorno prima del rapimento, Rafael Seguis, sottosegretario del ministero degli esteri di Manila e capo della delegazione del governo per i colloqui di pace con il Milf, aveva dichiarato alla stampa: “Andremo in Malaysia per parlare con i mediatori che informeranno il Milf riguardo alla ripresa dei colloqui”. Il governo di Kuala Lumpur svolge infatti la funzione di negoziatore tra le due parti. Dopo l’annuncio del governo di Manila, Mohaqher Iqbal, capo negoziatore per il Milf ha dichiarato: “Attendiamo di vedere cosa intende offrire l’altra parte per la riapertura dei colloqui. Siamo aperti ai negoziati”.
Fonti filippine reputano invece che il sequestro non sia da interpretare in modo politico o religioso. Interpellato da AsiaNews un esponente locale afferma: “Sembra piuttosto l’espressione della cultura del rapimento ormai molto diffusa nell’arcipelago di Sulu e Basilan. Per quello che si conosce, viene da escludere la matrice ideologica e pensare piuttosto ad un gruppo di sbandati che cercano riscatti. Potrebbe trattarsi di un gruppo come quello che lo scorso giugno aveva rapito una giornalista e la sua troupe a Sulu. Anche allora si era parlato di Abu Sayyaf poi si è visto che la cosa era molto diversa e la giornalista è stata liberata dopo il pagamento di un riscatto”.
A gettare ombre sul possibile coinvolgimento del gruppo di ribelli islamici legati ad Al Qaida, c’è anche il fatto che nell’ultimo anno Abu Sayyaf ha subito forti perdite per la controffensiva della forze militari di Manila: si calcola che dei 1000 aderenti nel 2007 ad oggi ne restino 350 circa. “Il problema - spiega la fonte di AsiaNews - è che la zona del rapimento è immersa nella giungla: i sequestratori possono fare grande affidamento sull’inaccessibilità della zona. Poi bisogna tener conto del fatto che, in un’area a stragrande maggioranza musulmana come Jolo, la popolazione preferisce l’appartenenza alla comunità all’idea di collaborare con l’esercito di Manila”.
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