14/08/2024, 11.02
AFGHANISTAN
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Idroponica per le donne di Kabul, coltivare la speranza a tre anni dal ritorno dei talebani

"Green rooms" è una delle ultime iniziative dell'associazione "She works for peace", fondata dall'imprenditrice sociale Selene Biffi. Un progetto di coltivazione di ortaggi che permette alle donne afghane di risparmiare acqua e suolo. Una finestra di speranza in un Paese afflitto dalla siccità e dall'insicurezza alimentare.

Kabul (AsiaNews) - Da tre anni i talebani sono tornati a governare l’Afghanistan. Il 15 agosto 2021 ripresero il controllo della capitale Kabul mentre le forze internazionali guidate dagli Stati Uniti si ritiravano. Da insurrezione armata gli “studenti coranici” si sono trasformati nelle autorità di fatto, facendo crollare l’economia e imponendo leggi sempre più oscurantistiche e restrittive, soprattutto nei confronti delle donne, che non possono accedere all’istruzione superiore, lavorare a contatto con il pubblico, frequentare gli spazi all’aperto o spostarsi in autonomia.

Ma molte donne afghane si rifiutano di piegarsi al destino che è stato loro imposto. Lo sa bene Selene Biffi, fondatrice dell’associazione “She works for peace”, che da tre anni sostiene la microimprenditoria femminile in Afghanistan. Con il suo ultimo progetto, chiamato “Green Rooms”, è riuscita ad attuare qualcosa che molti ritenevano impossibile: impianti di idroponica domestica, un sistema di coltivazione che permette di risparmiare fino al 90% d’acqua e che risponde a un duplice bisogno: quello di sicurezza alimentare per le famiglie e di impiego per le donne. 

Dopo la prima fase di formazione che ha coinvolto 35 donne, in molti casi analfabete o vedove, a causa di decenni di guerra, ora sono 260 le persone coinvolte. Un progetto innovativo e unico nel suo genere, realizzato grazie al sostegno economico della Fondazione Marcegaglia Onlus e al quale si aggiungerà un'impresa, sempre a gestione femminile, di vendita di ortaggi freschi.

“Le donne che partecipano imparano a costruire, gestire e occuparsi personalmente di diversi tipi di impianti e della coltivazione della verdura in soluzioni acquose invece che a terra, utilizzando materiali locali e a costo quasi zero”, ha spiegato Biffi, che il 29 maggio è stata ospite al Centro Pime di Milano. “Grazie a quanto apprendono e alle capacità tecniche che acquisiscono, le donne contribuiscono a migliorare la sicurezza alimentare delle loro famiglie e a creare opportunità lavorative a livello locale”.

Al giorno d’oggi quasi la metà della popolazione afghana (circa 20 milioni di persone) sopravvive unicamente grazie agli aiuti umanitari. Ad aggravare la situazione si aggiunge la bassa alfabetizzazione, ancora ferma intorno al 22%. Circa 4 milioni di donne e bambini soffrono di malnutrizione acuta. A causa della crisi economica e della mancanza di liquidità, i debiti delle famiglie sono aumentati di sei volte, e oltre il 70% dei redditi viene impiegato per comprare generi alimentari.

L’idroponica si è rivelata una scelta vincente in un Paese ogni anno sempre più colpito dalla siccità a causa dei cambiamenti climatici. Oltre a permettere di risparmiare grandi quantità di risorse idriche, ha una resa che può essere fino a tre volte maggiore rispetto a quella dell’agricoltura tradizionale e sviluppandosi in verticale, occupa anche meno suolo. “Sono decine gli impianti che le donne partecipanti hanno costruito da zero con impegno e determinazione, imparando le tecniche di assemblaggio, corretta gestione e manutenzione, e coltivazione di frutta e verdura”, ha continuato l’imprenditrice sociale di origine brianzola impegnata in Afghanistan dal 2009.

Prima di “Green rooms”, l’associazione “She works for peace” aveva già dato vita a progetti originali allo scopo di permettere alle donne afghane di continuare a lavorare da casa. È il caso di “Abzar”, una “biblioteca per gli attrezzi” dove le donne possono prendere in prestito gratuitamente i materiali e gli strumenti di lavoro (come elettrodomestici e macchine da cucire) per far crescere le loro imprese. Da poco è nato anche “Brave bus”, che, girando tra i quartieri più poveri di Kabul fornirà assistenza tecnica, materiali produttivi e incoraggiamento alle donne che lavorano da casa.

“Fare innovazione sociale è cruciale perché crea cambiamento, porta con sé cultura, dialogo e sostenibilità”, ha commentato ancora Selene Biffi. “Solo con questi ingredienti possiamo dare una speranza a un Paese che, per oltre 20 anni, ha visto pochi risultati dai progetti proposti dalla comunità internazionale”.

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